La Beatitudine di Fibre Parallele, un teatro necessario del reale

Fibre Parallele

La beatitudine di Fibre Parallele –  in scena a Pagani presso il Teatro del Centro Sociale per “Scenari Pagani”, organizzato da Casa Babylon, giovedì 10 marzo –  è un lavoro drammaturgico molto maturo, scritto da Licia Lanera e Riccardo Spagnulo e vincitore del Premio Scenario. Il palcoscenico diventa spazio politico e sociale dove confrontarsi, senza filtri, sul nostro tempo e i protagonisti, che hanno gli stessi nomi degli attori, sono suddivisi in due coppie diverse: Licia e Riccardo, due trentenni che non riescono a superare la perdita di un figlio sostituito con un manichino di un bambino, e Danilo con Lucia, lui costretto su una sedia a rotelle iperprotetto da sua madre ultrasettantenne. La loro realtà è costruita, fittizia, e sono alla costante ricerca di una beatitudine effimera, costruita, da raggiungere con il sesso. Tra loro spunta la figura di Cosma Damiano, un mago misterioso.

Realtà e finzione, finzione e realtà. Palco e realtà, realtà e palco. Tutto è nella testa di chi osserva e di chi vive. Fibre Parallele, con “La beatitudine”, spettacolarizzano un concetto, mettono in scena due interrogativi vecchi quanto il mondo: “Che cos’è reale? Cos’è finzione?”. Mettono a nudo lo spettatore che, di fronte a dei significati precisi, può scegliere liberamente dove identificarsi. Probabilmente è questa la novità drammaturgica della compagnia barese: mettono in scena il concetto di “frame” di Erving Goffman attraverso (e attraversando) la forma teatrica del contemporaneo. Da una parte, quindi, c’è l’identificazione dello spettatore in una situazione che potrebbe accadere a lui, nel reale, ma, d’altra parte, c’è il linguaggio della scena, in questo caso espresso in maniera concettuale, che mostra (o tenta di mostrare) un quotidiano esacerbato dall’inadeguatezza del vivere dove le parole hanno ancora la loro importanza ma hanno perso valore e dove la certezza dell’esserci si estrinseca solo con l’atto sessuale.
Cosma Damiano è il soprannaturale, colui che aiuta a vincere ogni solipsismo delirante e dotato di gesto empatico, il terapeuta ma è, al contempo, un uomo che riesce a riconoscere i limiti dell’uomo e che gioca un ruolo, che non gli appartiene, solo per esserci. Tutti usano gli altri per sopravvivere in una dimensione cannibalesca, che cambia continuamente di prospettiva. Non c’è vera beatitudine ma solo un’umanità disperata, resa ancor più disumana dalla recitazione di Licia Lanera – umana, cinica e morbosa – dalla drammaturgia sarcastica e grottesca di Riccardo Spagnulo e da un cast perfettamente calibrato e in parte.

 

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