Esercizi di memoria di Andrea Camilleri

 

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Pare che l’inevitabile destino degli indovini, degli aedi e dei cantastorie sia quello della cecità. Questa sorte è toccata anche ad Andrea Camilleri, il grande e prolifico narratore che ha dato vita al Commissario Montalbano, il creatore di quella commistione unica di italiano e siciliano che l’ha fatto grande. Così i suoni di susseguono in un’armonia di dialetto e lingua comune, creando un ritmo unico che ben si adatterebbe a una melodia.

Il suo ultimo libro è Esercizi di memoria, edito da Rizzoli. Di esercizi si tratta. Esercizi di memoria di un uomo che non può più vedere – e allora per narrare si affida ai ricordi, agli altri sensi. Del resto, il libro è l’oggetto che più ha diretto contatto con la memoria, evocando e fissando immagini nella mente. Le emozioni non vengono più dagli occhi ma, ad esempio, dalle dita che sfiorano una pietra tenuta in tasca, “segno tangibile che una volta mi era stata concessa la grazie di intravedere la Bellezza”.

Viene alla mente Jorge Luis Borges, l’immortale scrittore e studioso argentino, cui la vecchiaia aveva tolto la possibilità di vedere. Eppure non si arrese mai al buio. Continuava a “giocare a non essere cieco”. Un giorno gli donarono un’antica enciclopedia con meravigliose mappe e incisioni. Lui non poteva più vedere nulla di quella bellezza, eppure sentiva l’esistenza di quel libro come una sorta di felicità. Era la pura gioia di sapere che al mondo esistono cose degne d’essere dette belle.

Per lo stesso motivo Camilleri fa illustrare questo suo ultimo lavoro da sei illustratori italiani, tra i più importanti tra i contemporanei:  Gipi, Alessandro Gottardo, Lorenzo Mattotti, Guido Scarabottolo, Olimpia Zagnoli e, per la copertina, Tullio Percoli. A loro il compito di trasmettere con le immagini quello che lui vuole dire e, ancor di più, trasmettere a chi lo legge.

E i racconti rivelano una vita straordinaria e piena d’esperienze. Si passa dal primo, un omaggio al suo amatissimo Pirandello, a racconti sul proprio rapporto con la montagna, sul Commissario, Antonioni o Vincenzo Cardarelli. I suoi sono ricordi pieni di colori e sfumature. Camilleri non racconta mai con malinconia il suo passato, c’è piuttosto sempre una sottile ironia (e chiunque l’abbia mai sentito parlare dal vivo, può capire benissimo questo aspetto) da abile oratore, una sorta di immersione pervasa da dolcezza. Non rimpianto, ma gratitudine.

Camilleri non può più scrivere. Ma può dettare. Soprattutto, può ancora narrare delle storie.

In questo caso ne ha pensata una al giorno, per 23 giorni. Compiti per l’estate, li ha chiamati lui. Ma sono esercizi per reimparare ad amare la vita, in qualsiasi oscurità ci si possa trovare. Trovare la forza, nel buio, per continuare a raccontare.

“L’ideale della mia scrittura è di farla diventare un gioco di leggerezza, un intrecciarsi aereo di suoni e parole. Vorrei che somigliasse agli esercizi di un’acrobata che vola da un trapezio all’altro facendo magari un triplo salto mortale, sempre con il sorriso sulle labbra, senza mostrare la fatica, l’impegno quotidiano, la presenza del rischio che hanno reso possibili quelle evoluzioni. Se la trapezista mostrasse la fatica per raggiungere quella grazia, lo spettatore certamente non godrebbe dello spettacolo.”

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