ErosAntEros: serve una base di diritti per i lavoratori dello spettacolo

Foto di Gianluca Sacco

Foto di Gianluca Sacco

ErosAntEros sono Davide Sacco e Agata Tomsic e la loro ricerca artistica unisce linguaggi diversi tra loro usando l’immaginazione come un’arma per interpretare il reale. Hanno collaborato con diverse realtà come Odin Teatret, Teatro delle Albe e Fanny & Alexander. Ideano e producono spettacoli, organizzano laboratori e, negli ultimi anni, hanno concentrato la loro ricerca teatrale sull’interazione tra voce e suono e sul ruolo dell’artista all’interno della nostra società.

1-2) Se volessimo cominciare un’analisi della situazione di crisi culturale del teatro italiano, da quali segnali dovremmo partire? Secondo te/voi, la crisi del teatro potrebbe essere la diretta conseguenza di una crisi generazionale, d’identità e di opportunità? Quali sono i tempi e modi del suo sviluppo?
Si può affermare che la crisi del teatro possa dipendere anche da una mancanza di idee teatrali forti?
La crisi teatrale, se esiste, è figlia della società che l’ha generata e il teatro essendo sua immagine la rispecchia. A nostro avviso il teatro in Italia non è in crisi dal punto di visto artistico-poetico, anzi… Sono le istituzioni che dovrebbero tutelarlo e garantire l’esistenza a esserlo e a metterlo in crisi. Non ci sembra che gli artisti manchino di idee, quello che manca loro spesso sono i finanziamenti. E questo secondo noi è il problema più grave, quello che parte dal Ministero e genera a catena molti altri problemi. Il denaro investito dallo Stato Italiano per la cultura in generale e per lo spettacolo in particolare è – come tutti sappiamo – poco. Pochissimo. E quel poco che viene stanziato è distribuito con criteri molto discutibili. Il sistema teatrale italiano si è fatto negli anni sempre più difficilmente accessibile sia ai giovani artisti che a coloro che portano avanti ricerche e percorsi da anni. Si potrebbe pensare che la causa di questa chiusura e divisione in compartimenti stagni, che spesso divide il teatro di ricerca dal teatro di prosa, ed entrambi dalla danza e dalla lirica, sia la diversità dei pubblici, ma in realtà si tratta della mancanza di coraggio di molte politiche culturali e direzioni artistiche. La nostra esperienza diretta ci insegna che per gli artisti è facile passare da una forma all’altra o creare forme a cavallo tra varie discipline e ci sembra piuttosto che avremmo bisogno di intermediari preparati e appassionati, che aiutino gli artisti a raggiungere un numero più ampio di spettatori, non limitandosi a scelte comode o al lavoro di contabili. La mancanza di queste figure crea degli squilibri pericolosi, come la ghettizzazione del teatro di ricerca tra un suo piccolo gruppo di appassionati e la proliferazione di stagioni che strizzano l’occhio agli spettatori mettendo in cartellone spettacoli che riempiono i botteghini tralasciando completamente la funzione culturale che la nostra professione dovrebbe avere. Queste operazioni meramente commerciali e di puro intrattenimento non necessiterebbero a nostro avviso di alcun tipo di finanziamento pubblico, finanziamento attraverso il quale si dovrebbero piuttosto nutrire le eccellenze nate sul territorio, contaminandole con la scena internazionale e inserendole all’interno di contesti che le avvicinino agli spettatori. Questi ultimi dovrebbero essere motivati e agevolati a seguire le stagioni e le rassegne teatrali, con interventi di formazione del pubblico che partano dalle scuole per diffondersi in tutti gli strati della nostra società. Non si tratta certamente di un processo semplice o facile da attuare, ma crediamo che negli ultimi anni diverse realtà ci abbiano mostrato varie possibili strade da percorrere.

3) Qual è la funzione sociale del teatro oggi? Quali necessità soddisfa?

Personalmente crediamo che il teatro possa e debba ancora essere quel luogo in cui attraverso la profanazione della realtà la società abbia la possibilità di riflettere su di sé. A volte l’immagine che vediamo di noi stessi a teatro è talmente deformata che difficilmente ne veniamo a chiara lettura nell’immediato, ma si tratta ancora di un luogo spazio-temporale in cui attraverso la trasfigurazione e il montaggio di ordini diversi di realtà possiamo leggere in nuova luce ciò che ci circonda e noi stessi. Non tutti gli spettacoli riescono o vogliono raggiungere questo obbiettivo, poiché diversi sono gli artisti e diversa è la sensibilità degli spettatori, ma ci sembra che il teatro possa essere ancora oggi una fucina in cui è possibile sviluppare nuovi linguaggi capaci di parlare al presente.

4) Si può credere a un rinnovamento del teatro o siamo in attesa di un modello culturale che possa scuotere le coscienze?

Crediamo che il “rinnovamento del teatro”, come delle altre forme d’arte e della società stessa avvenga ogni giorno; si tratta di un processo naturale, inarrestabile. Siamo tutti in continua evoluzione. Il teatro si trasforma ogni giorno assorbendo i nuovi modelli della società che lo circonda, esattamente come noi tutti facciamo. Ci sono spettacoli in cui questa trasformazione è più visibile e altri in cui lo è di meno, ma quando il teatro è teatro e non mera riproduzione di un prodotto da museo, questa trasformazione è in atto sempre.

5) Lo Stato sostiene il teatro in Italia? Se sì, ne beneficiano tutti?

Sì, ma troppo poco e purtroppo siamo molto lontani dal che ne beneficino tutti. Noi ad esempio come ErosAntEros ad oggi non godiamo di alcun tipo di finanziamento pubblico, né ministeriale, né regionale, né comunale… Perché dopo una serie di esperienze diverse abbiamo deciso di costituirci come soggetto giuridico soltanto due anni fa e ora, nonostante la nostra compagnia sia attiva ormai da sette anni, non abbiamo i “numeri” o l’“età giuridica” per accedere ai bandi attraverso i quali vengono distribuiti la maggior parte dei finanziamenti. Certo, alcune realtà possono godere del finanziamento dello Stato anche in maniera indiretta e questo vale anche per noi, ma per tutti, comprese le realtà più grandi, compresi i Teatri Nazionali, ci pare ci sia un problema di cifre, di numeri, di regolamenti che non hanno nulla a che fare con la realtà in cui viviamo e che costringono tutto il teatro italiano a barcamenarsi in un inseguimento folle di minimi surreali, tra percentuali di repliche, fatturati, giornate di lavoro e di pubblico spettacolo, numero minimo di personale coinvolto e amenità varie. Tutti questi cavilli risultano spesso per molti uno scoglio impossibile da superare. Per non parlare delle rendite di posizione, dei bilanci dietro i quali le compagnie investono tempi enormi impazzendo a inventarsi le cifre giuste per accedere ai finanziamenti…

6) Le due misure più estreme ed urgenti da mettere in atto, secondo te/voi.

Monitorare le moltissime realtà teatrali presenti sul nostro territorio, salvaguardarle. Mettere in atto delle politiche che tutelino i più piccoli e che agevolino le strutture più giovani per aiutarle a crescere, fornendo loro ad esempio luoghi in cui lavorare e finanziamenti adeguati. Tantissimi sono gli immobili vuoti in Italia, i teatri, le sale che potrebbero essere adibite a luoghi in cui creare e altre strutture abbandonate. Sono così tanti che a volte basterebbe dare parte di questi in affidamento alle molteplici piccole e meno piccole realtà che sono distribuite sul nostro territorio assieme a un piccolo investimento economico per farle diventare dei centri culturali, e farli crescere fino a farli divenire dei luoghi importanti per il territorio e per i cittadini che lo abitano.
L’altra misura urgente sarebbe garantire seriamente una base di diritti per i lavoratori dello spettacolo dal vivo, a esempio attraverso l’istituzione di uno status d’artista, un fondo di assistenza per la malattia e gli infortuni, le pensioni…

7) Ha ancora senso mettere in scena i classici? O andrebbero “tolti di scena”? Quanto influisce la scelta politica di un direttore artistico?

Certo che ha senso confrontarci con i classici! Se un testo nonostante la sua età ti parla, vuol dire che è ancora attuale, poiché attraverso il passato riesce a essere utile a comprendere il tuo presente, a immaginare un diverso futuro! Piuttosto è il “mettere in scena” che ci sembra un po’ obsoleto. Si tratta di una terminologia che rispecchia il sistema produttivo che si è sviluppato ormai più di un secolo fa ricalcando l’organizzazione del lavoro introdotta con la rivoluzione industriale. Ma siamo sicuri che uno spettacolo teatrale sia soltanto un prodotto? O si tratta piuttosto di un processo, che inizia con l’ideazione e si concretizza formalmente nelle prove, e continua a raffinarsi ogni sera quando viene portato in scena davanti agli spettatori, trasformandosi attraverso la relazione con questi ultimi e crescendo come un vero e proprio essere vivente? In questa seconda prospettiva, non crediamo che si debba avere paura dei classici, quando siamo noi artisti a essere attratti da essi, a “sceglierli”. Dobbiamo averne paura quando ci vengono imposti da un sistema teatrale che si sta ripiegando su se stesso e che per mancanza di coraggio affida gli stessi titoli agli stessi registi con in scena gli stessi attori da più di mezzo secolo. Pensiamo invece che in un “sistema sano” i classici possano essere di grande stimolo, non solo per gli artisti, ma anche per gli spettatori, anche per quelli più scettici, che attratti da un titolo rassicurante possono trovarsi di fronte a un linguaggio nuovo, che li sorprende e che magari in un primo momento neppure piace, ma che probabilmente stimolerà in inaspettate riflessioni.

8) Si può parlare di “dittatura teatrale” nel mondo delle arti in scena? Se sì, perché?

Si tratta di una definizione che non utilizzeremmo.

9) È possibile un “teatro della crisi” in cui artisti, spettatori e critica trovino un punto in comune?

Per quanto la definizione “teatro della crisi” non ci piaccia molto, ci sembra proprio di sì, che per fortuna in alcuni casi ciò già accade. La consapevolezza di condividere non solo un punto ma molto di più tra artisti, critica e spettatori ci sembra fondamentale sempre, tanto più quando “il teatro è in crisi”. Il teatro è sguardo, relazione; senza l’in comune ci verrebbe da dire che stiamo facendo un’altra cosa… E non è un caso che molti spettacoli degli ultimi anni si siano interrogati su questa questione.

10) Quant’è importante lo spettatore a teatro? Quanto è necessario investire nella formazione di un pubblico consapevole?

Lo spettatore a teatro è fondamentale. Senza spettatori il teatro non è teatro, è un’altra cosa, magari interessante a suo modo, ma come teatro non ha senso di esistere. E non siamo di certo i primi a sostenerlo. In fondo lo spettatore è colui che firma la sua personale drammaturgia filtrando, in ultima analisi – attraverso le sue esperienze e tutto il suo essere – ciò che vede, ascolta, vive in un breve o meno breve arco temporale, durante uno spettacolo. Gli spettatori sono al centro della nostra riflessione teatrale ormai dal 2012, da quando abbiamo iniziato a concentrarci su Come le lucciole, un progetto che indagava il rapporto tra artista e società e che proprio attraverso questa riflessione ha cambiato i nostri modi di lavorare, incidendo fortemente sulle forme spettacolari che abbiamo creato da quel momento in poi. Dobbiamo lavorare tutti insieme, artisti, critici, operatori, spettatori affinché sempre più persone vadano a teatro e sempre più chi va a teatro possa avere uno sguardo consapevole, ci sembra che questo si l’unico modo affinché il teatro r-esista e continui ad avere senso di esistere.

Prima di salutarvi, ringraziandovi per la collaborazione, vi chiediamo un’ultima riflessione: qual è la tua/vostra missione teatrale? Come immaginate la situazione culturale e teatrale italiana nei prossimi cinque anni?

Non è facile rispondere a queste ultime due domande, come del resto non è stato facile rispondere alle precedenti. Quello che cerchiamo di fare è portare avanti il nostro percorso e, nel nostro piccolo, stimolare la riflessione delle persone che in questo percorso incontriamo. Uno sguardo attento che ha incontrato il nostro lavoro ha sostenuto che il nostro fare teatrale “ha l’obiettivo di agganciare il teatro alla vita e fare dell’immaginazione un’arma per trasformare il reale”. Dalla prima volta che abbiamo letto queste parole le abbiamo fatte nostre, poiché meglio di noi sono riuscite a esprimere quel fuoco che ogni giorno ci spingere ad andare a avanti, lottando per la nostra sopravvivenza, r-esistendo malgrado tutto.
I prossimi cinque anni? Speriamo bene! E dal canto nostro continueremo a lavorare sodo e a essere aperti a tutti e a tutto ciò che ci circonda, da vicino e da lontano, alle voci dei maestri vivi e di quelli del passato, come a quelle delle ragazze e dei ragazzi più giovani, anche molto più giovani di noi che abbiamo la fortuna di incontrare lungo il nostro cammino.

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