Michelangelo Campanale: come funzionano le luci a teatro

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Michelangelo Campanale è un disegnatore luci, un regista e uno scenografo e lavora in ambito teatrale dal 1980. Attualmente in scena con una sua regia, Cinema Paradiso, lavora con la compagnia teatrale pugliese “La luna nel letto”. Gli abbiamo rivolto cinque domande per capire meglio il mestiere del light-designer:

 

Come spiegheresti a un ragazzo, in poche parole, il mestiere di light designer?

Nella stessa maniera in cui si può spiegare la luce in un quadro di Caravaggio. C’è un primo piano, un secondo piano, un movimento che vengono dati proprio dalla luce. Ogni volta che c’è una scena, bisogna fare riferimento alla drammaturgia, che chiede un determinato disegno luci proprio per mettere in primo piano determinati elementi. Il light-designer, però, deve influire sulla drammaturgia dando risalto ad alcuni elementi e, a quel punto, tutto deve essere coerente con le luci, il colore, le gelatine etc. I colori vengono scelti a seconda della drammaturgia, quindi. Se uno spettacolo è trash, bisogna usare i colori che funzionano, non quelli che piacciono al light-designer, il cui gusto non deve togliere nulla al lavoro drammaturgico.

In teatro che funzione ha la luce?

Storicamente la questione è questa: a un certo punto le compagnie in Italia, e all’estero, non sono riuscite a portarsi dietro le scene perché diventava oneroso. Hanno capito, quindi, che, con le luci, si poteva suggerire la scenografia. Con il cinema, poi, le cose sono ancor di più cambiate perché la luce può simulare il movimento di una macchina da presa. Si sono avute meno spese (oggi, però, non è più così) e hanno contribuito ad innovare il linguaggio del teatro dipingendo sulla scena. E’ come avere una tela da dipingere solo che, a differenza del foglio bianco, in teatro si ha a disposizione un “foglio nero”.

Quant’è cambiato negli anni questo mestiere?

In realtà è come quando disegni. La tecnica è sempre la stessa. Il mio maestro di disegno mi diceva che se sai disegnare con la matita puoi dipingere con i pennelli e fare tutto. I rudimenti sono gli stessi e non sono cambiati negli anni. Così è con le luci, anche con gli spettacoli con tanti mezzi a disposizione e dove, talvolta, si fa un uso delle luci sbagliato. Non è difficile perché devi partire dalla storia dell’arte e avere una cultura visiva appropriata. Drammaturgicamente, è importante che ci siano riferimenti anche cinematografici per aiutare la formazione di una scena. Dopodiché, interviene solo la tecnica.

Quanto incidono le indicazioni registiche sulla scelta delle luci da adoperare? E quelle autoriali?

Sono venticinque anni che faccio questo mestiere e, nella maggior parte dei casi, funziona così: mi viene detto che bisogna creare un’alba, un tramonto, creare dei punti luce sui personaggi che devono parlare e bisogna farlo con pochi soldi. Io lavoro al contrario: dico ai registi di seguire il lavoro dall’inizio. Le luci devono stare assieme allo spettacolo, devono essere vicini alla battuta e chiedo al regista di farmi lavorare. Poi, verso la fine, insieme, si discute sulle varie luci cercando di farle divenire un tutt’uno col lavoro di tutti, senza farle apparire distaccate. Una battuta, per me, deve risuonare assieme alle luci. Se la battuta è drammatica, la luce deve essere drammatica e non deve solo illuminare.
L’influenza autoriale, invece, arriva quando ci creiamo degli artisti di riferimento: io porto film, pittori come punti di riferimento in modo da dare una cifra stilistica allo spettacolo. Poi c’è anche lo stile mio, personale, che influisce nettamente un lavoro: ad esempio, io non sopporto le luci simmetriche, quelle poste a destra e a sinistra della scena, perché le trovo innaturali, non esistono in natura. Quindi, se determinati registi mi chiamano, significa che vogliono quello stile all’interno del loro spettacolo.

Quali sono le difficoltà che incontra di frequente e come le risolve?

Il light designer vorrebbe miliardi di luci e si trova a lottare con bassi budget, pochi tecnici e poco materiale. Una difficoltà che è tutta italiana. Però diventa una sfida e ci si reinventa. Si inventano cose magnifiche con quello che si ha a disposizione. E capita anche con produzioni enormi dove devi sempre tagliare, soprattutto oggi, e dove ti scontri con i ruoli predefiniti e non intercambiabili (ad esempio il macchinista fa il macchinista e non ti dà una mano). Con le piccole compagnie, invece, questo non accade e capita pure che un attore ti dà una mano a trovare un faro.

 

 

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