Aspettando con…Bobò

Aspettando con bobò

Pippo Delbono in occasione del trentennale della Sala Assoli è andato in scena venerdì 13 novembre con Aspettando con…Bobò, nel luogo della prima comparsa scenica a testimonianza del sodalizio teatrale e personale tra i due protagonisti dello spettacolo. La serata era divisa in due momenti. Nella prima parte Delbono e Bobò sono stati protagonisti di una rivisitazione di Aspettando Godot di Samuel Beckett, pièce miliare del teatro moderno, in un dialogo fatto di gesti, silenzi e di profonda empatia, mentre scivolavano le parole del testo. Nella seconda parte c’è stata la proiezione di Guerra che ripercorre la tournée, che la compagnia teatrale di Delbono ha compiuto nel gennaio del 2003 tra Israele e Palestina,  presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e premiato come migliore documentario di David di Donatello del 2004. Uno spettacolo originale, folgorante, ricco di  poesia e umanità, centralizzato sulla presenza di Delbono e Bobò.

Aspettando con…Bobò è il racconto di una resurrezione, di un incontro salvifico. È un racconto intriso di umanità, sorrisi e tenerezza. È un racconto di gioia e dolore. Delbono accoglie il pubblico numeroso della Sala Assoli con un’introduzione alla rappresentazione che di lì a poco andrà a vedere. Diciotto anni fa in un momento molto complesso della sua vita a causa del suo delicato stato di salute, Delbono si trovava, non in maniera casuale, all’ospedale psichiatrico di Aversa per una serie di lezioni dedicate ai giovani operatori intenti a lavorare con i pazienti dell’ospedale. Completamente disinteressato all’attività da svolgere e alle persone che erano lì per seguirlo, l’attore e regista ligure rimase però amaramente impressionato dallo stato di degrado in cui versava il manicomio e, in questo proliferare di depressione personale e mancanza di stimoli, il suo sguardo venne colpito dalla presenza di uno dei pazienti della struttura che, spontaneamente, assiste alle sue lezioni.

È il primo incontro con Bobò, un piccolo uomo sordomuto, che Delbono deciderà di portare via di lì. Bobò conosce con lui per la prima volta il mondo. Comincia a vedere luci e colori, a sentire profumi prima di allora sconosciuti. Ma Bobò si adatta perfettamente a queste scoperte e con profonda nonchalance, perché lui è nato per essere attore.

Quello che risalta agli occhi dello spettatore e lo colpisce profondamente è la tenerezza del rapporto che i due hanno instaurato nel corso degli anni, trovando un canale di comunicazione ed un modo di relazionarsi alternativo, fatto di una vicina distanza, di un tacito accordo in cui “io ci sono” non vuol dire che “ti accarezzo” o che “ti do una pacca sulla spalla”, ma che, a mio modo, ci sono, sono presente. E Aspettando Godot ricalca, quasi come se gli fosse cucito addosso, la storia di questi due compagni speciali, il gigante e l’eterno bambino. La resurrezione è la chiave di lettura di questo lavoro per entrambi i protagonisti in scena: Delbono e Bobò che ritrovano il mondo trovandosi.

Segue la proiezione del film documentario Guerra. Duro, funesto, un pugno nello stomaco. Il degrado dei paesi dilaniati dalle continue guerre. Gli occhi della gente, senza viso, senza nome, che ha vissuto tutto ciò. Le lacrime e le urla di chi chiede di vivere. La proiezione del film avvolge la sala in un silenzio che fa rumore e genera ansia ma che, al contempo, unisce e separa gli spettatori.  Quell’ansia che ti fa sentire parte del tutto perché conscio della condivisione di questo sentimento generato dalla sola visione. Un’ansia collettiva che ben presto allenta i confini e degenera in tristezza, rabbia, dolore. Perché il teatro è la vita.

Quasi un presagio funesto. Nello stesso momento, in svariate parti del mondo anche non molto distanti da noi, si consumava una immane tragedia e, fino a quando non è entrata nei salotti del mondo occidentale, abbiamo provato solo un dolore distante. Ma poi, ieri sera, Parigi è stata dilaniata da esplosioni e più di cento morti, e, improvvisamente, i “senza volto” e i “senza nome” hanno assunto una fattezza reale agli occhi di noi ciechi osservatori.

 

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