Acquasanta, il primo episodio della Trilogia degli occhiali

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Capitolo I: Acquasanta.

È l’inizio di una storia che parla di solitudini, di vita ai margini, di disadattati. In scena al Nest questo scorcio, questa prima parte de La trilogia degli occhiali della regista e drammaturga siciliana Emma Dante. Trait d’union sono appunto gli occhiali, divisori e isolanti rispetto al mondo circostante.

In scena la piccola prua di una nave e al centro, come una polena, un uomo che beve acqua. No, non la beve. La tiene in bocca, la trattiene, si strozza e la sputa. Quell’uomo è ‘O Spicchiat, unico e poliedrico protagonista, interpretato dal magistrale Carmine Maringola. Non è una coincidenza che dalla scomposizione del suo cognome viene fuori proprio questo: Mar-in-gola. Il mare in gola e anche nei suoi occhi appannati, che vedono poco, pieni di acqua salata.

Noi del sud abbiamo uno strano rapporto con il mare. Pare quasi che ci appartenga, che sia solo nostro, che solo noi possiamo coglierne le più intime sfaccettature. È il nostro primo amore, con cui siamo abituati a convivere da sempre. È così per quel mozzo che ci narra la sua triste storia di distacco forzato dal mare. È così per Emma Dante che, da donna del sud, spesso lo mette al centro dei suoi testi. In Odissea: a/r però il protagonista era schiavo del mare e lo è stato per dieci lunghi anni. La sua meta e il suo traguardo era la terraferma. ‘O Spicchiat la rifugge invece, potendosi crogiolare solo fra le onde. La sua è stata un’esistenza ai confini sia del mondo che della stessa ciurma di cui fa parte. Trattato con disprezzo e bistrattato dai suoi superiori. Abbandonato a terra, e dunque a se stesso, senza apparente motivo. Come una guarattella, legato a delle ancore che fluttuano ad ogni minimo movimento, comincia il suo racconto fatto dei ricordi di un tempo fermo, immobile. Un tempo sospeso, quello passato in mare, dove avere a che fare con un micromondo era tutto più semplice. Invece sopra di lui il tempo scorre veloce. Glielo ricorda il cielo. Le stelle-timer suonano una dopo l’altra e si ripiomba nella realtà.

La Dante, coadiuvata da Maringola, riesce a concentrare in uno spettacolo della durata di un’ora scarsa una miriade di azioni fisiche e frenetiche, movimenti continui e discontinui ma mai sgraziati. Proprio come le onde del mare che sono trascinate dalla corrente quasi per inerzia. Questo fluttuare termina solo quando ‘O Spicchiat si rassegna e dedica al suo unico amore un canto disperato e sincero. Non ha più nulla da perdere se non forse la cosa più importante: quella magnifica sensazione di schiuma nella bocca.

Visto al NEST di Napoli, 12 dicembre 2016

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