A Hunger Artist – Un Digiunatore: Nekrošius al Teatro Bellini

A Hunger Artist - Un digiunatore

Digiuni dunque ancora? chiese il custode, quando ti deciderai a smettere?
Perdonatemi voi tutti, sussurrò il digiunatore; ma soltanto il custode che teneva l’orecchio accosto alle sbarre, lo intese.

Questo breve passaggio tratto da Un digiunatore di Franz Kafka, pubblicato per la prima volta a Berlino nel 1922, terzo di quattro racconti pubblicati successivamente nel 1924 nella raccolta omonima Ein Hungerkünstler, letteralmente Un artista della fame, è esemplificativo della rappresentazione in scena al Teatro Bellini di Napoli per la regia di Eimuntas Nekrošius, regista lituano di fama internazionale, che ha scelto il teatro napoletano per la messa in scena dell’opera dello scrittore praghese, A hunger artist – Un digiunatore.

Il corpo come rappresentazione del sé, come mezzo espressivo per la ricerca di tutte le espressioni realizzate attraverso di esso. Vivere un corpo e vivere in un corpo vuol dire viverlo fino all’essenza, usarlo fino a consumarlo. È questo il nodo cruciale del testo di Kafka messo in scena da Nekrošius: il digiuno diventa la trasfigurazione della fame dell’artista, atto estremo di rinuncia nel perseguimento della propria passione ma anche denuncia della condizione stessa dell’arte, sempre in bilico sull’orlo dorato di un precipizio per l’incedere delle mode e dello scorrere del tempo. Il tragitto che separa l’artista dal fondo è tanto breve quanto inevitabile: il sacrificio, i 40 giorni di digiuno come limite massimo stabilito dall’impresario prima che la performance cada nel dimenticatoio, sono il limite non solo temporale ma anche fisico dell’arte. Il corpo pallido e svilito dal prolungato digiunare, le costole che emergono sotto il sottile strato di pelle, sono croce ma anche delizia che consuma l’artista nell’impossibilità di non poter andare oltre, superare il limite che sottrae la propria arte.

Questo dualismo, nella condizione di corpo come rappresentazione di sé e del mondo, nell’arte come passione divoratrice e rinuncia, nella lingua minimalista ma carica di significati, è il leitmotiv dell’intera rappresentazione. Il protagonista in scena è una donna (Viktorija Kuodyté, attrice feticcio del regista lituano), la gabbia in cui è imprigionata è un interno qualunque, un qui ed ora di un qualsiasi tempo e di un qualsiasi luogo, scarno come la vita dietro le sbarre, il corpo lusingato e usurato nell’espressione dell’arte, il tempo, troppo lento nel sacrificio ma che velocemente conduce all’oblio, all’isolamento e alla morte. Tutto è presenza ed abbandono, di sé, del corpo e degli organi che lo compongono. Lo stomaco del digiunatore è il  corpo stesso: una macchina perfetta che si adatta alla rappresentazione dell’artista, divenendo netto e dritto, senza curvature.

La messa in scena di Eimuntas Nekrošius si presta ad essere un organismo perfetto in termini di interpretazione e regia. Accanto alla Kuodyté  Vygandas Vadeiša, Vaidas Vilius e Genadij Virkovskij affrontano l’ultimo testo di Kafka con una buona dose di ironia consentendo al pubblico flebili abbozzi di sorrisi al cospetto di un racconto che si contraddistingue per un duro quanto concreto realismo dal tono molto malinconico. Il confine tra palcoscenico e platea vine sovente annullato dagli stessi attori che sono, per gran parte del tempo, rivolti verso il pubblico in sala che diviene l’interlocutore prediletto del digiunatore, riflesso ma anche parte integrante della sua condizione, sin dalla prime battute: La cena è pronta! (la battuta d’apertura) e la compilazione del menu e delle sessioni gli vengono illustrati sin da principio. La regia è precisa, pulita, una catena i cui ingranaggi si incastrano perfettamente gli uni negli altri, ma il cui movimento risulta essere talvolta eccessivamente meccanico, lasciando poco spazio all’emozione e alla reale compenetrazione, e partecipazione, all’azione in scena col rischio che l’epilogo finale, nel suo insito movimento all’azione, possa non trovare il giusto impatto perdendosi tra la paglia ammucchiata nella gabbia.

 

 

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