Week-End di Annibale Ruccello

Week End Ruccello De Bei

Week End, testo di Annibale Ruccello del 1983, va a ultimare la sua “trilogia da camera” che comprende “Notturno di donna con ospiti” e “Le cinque rose di Jennifer”. Luca De Bei lo ripropone presentando una regia che fotografa, temporalmente, un contesto ormai perduto restando, quindi, fedele all’estetica del drammaturgo stabiese.
Protagonista è un’incredibile Margherita Di Rauso, attrice molto rucelliana, che interpreta il testo, bellissimo e sinistro, con la leggerezza e il rigore di una pianista alle prese con una partitura importante. Veste i panni di Ida, professoressa sulla quarantina, campana, che arrotonda il suo stipendio dando ripetizioni private a Marco, figlio della fruttivendola sotto casa, adolescente disinteressato allo studio. Dopo la lezione del venerdì, riceve in casa Narciso, un idraulico giovane e prestante, con il quale si spende, durante il weekend, in una relazione molto intensa.
L’operazione di De Bei è pienamente riuscita perché riesce a cogliere esattamente il nucleo centrale del testo dimensionando lo spettacolo sul tempo della solitudine della sua protagonista e, al contempo, regalando allo spettatore una tensione narrativa che ricorda il Brian De Palma di “Vestito per uccidere”, regista molto amato da Annibale Ruccello assieme a Hitchcock e Polanski.

A dare un ritmo ancora più scandito allo spettacolo, è il rumore zoppicante dei passi di Ida, claudicante dall’età di sette anni a causa di un incidente che le ha contrassegnato, in negativo, l’intera esistenza, già ai margini in quanto “figura deportata” dalla sua terra di origine. Così Ruccello chiamava le sue donne, sradicate dalla loro cultura, che recano, nell’animo, una ferita aperta e profonda. Si proteggono nel loro guscio domestico, fatto di canzoni francesi e bicchierini di liquore Strega, nel caso di Ida, o di immaginarie telefonate al Franco di turno, come per Jennifer. Dettagli che non devono sfuggire allo spettatore attento perché lì risiede la forza del teatro di Annibale Ruccello: il telefono rosso, con cui Ida comunica con la madre, il televisore, il giradischi, la radio, il balconcino aperto per poter fumare. Lì risiede l’immenso “realismo magico” (mi si perdoni l’attribuzione) dell’opera ruccelliana che De Bei mette ancor più in risalto insistendo sugli accenti dei tre personaggi o ampliando la solitudine della protagonista con gli specchi, che permettono l’incontro, in senso lacaniano, tra il corpo simbolico e il corpo reale.

Il corpo simbolico, in tal senso, è la “signora cu lu zampone” della favola che Ida (si) racconta quando pensa di essere stata scoperta. Il corpo reale, invece, è l’Io che vorrebbe non rifiutarsi e trova nella divorazione un modo per autoaffermarsi e identificarsi. Il lavoro di Margherita Di Rauso sul personaggio, soprattutto per questo motivo, è importante poiché riesce a cogliere tutte le sfumature psicologiche delle azioni di Ida con i gesti, gli sguardi e, soprattutto, la voce, attraverso veloci cambi tonali (non di registro) da attrice vecchio stampo. Bravi ed equilibrati anche Giulio Forges Davanzati e Gregorio Valenti.

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