Tre sull’altalena, l’inconoscibilità del reale e l’attesa del giudizio

Tre sull'altalena

Il Piccolo Bellini di Napoli chiude la stagione teatrale con Tre sull’altalena, commedia teatrale scritta nel 1990 da Luigi Linari, per la regia di Massimo De Matteo, Sergio Di Paola e Peppe Miale. Luigi Linari scrive questa commedia di getto proponendo la trattazione di argomenti dai connotati metafisici in chiave palesemente comica attraverso la costruzione di dialoghi serrati tra i personaggi e battute di spirito che in breve garantiscono il successo dell’opera che viene tradotta in ventisei lingue e rappresentata, dopo la prima milanese del 1990 al Teatro dei Filodrammatici, in tutto il mondo.

Il rumore del traffico di città annuncia l’inizio della rappresentazione. Sul fondo del palcoscenico posto in alto rispetto al piano della scena uno spazio celato dietro un velo nero attraverso il quale Pasquale Termini violoncello alla mano e leggio pronto canta con voce soffusa Jesus Christ Superstar. Il profetico è nell’aria. La scenografia, curata da Luigi Ferrigno, è fortemente connotata da sfumature di grigio e di nero: nero è il perimetro del palcoscenico, grigie le quattro porte che lo delineano sul fondo, grigie sono le sedie di quella che a tutti gli effetti sembra essere una sala d’attesa.

In questo misterioso ambiente si incontrano un commendatore, un capitano dell’esercito ed un professore. Ognuno di loro ha appuntamento lì per motivazioni diverse, come diverse sono le porte attraverso le quali accedono alla scena: il primo, Sergio Di Paola, ha un appuntamento galante con una certa signora Annalisa, il secondo, Massimo De Matteo, è lì per trattare una partita di materiale di riciclo dell’esercito ed il terzo, Eduardo Tartaglia, deve ritirare le bozze di un libro di sua prossima pubblicazione. Diverso è anche l’indirizzo che ha condotto i tre in questa sala. Di che posto si tratti non ci è dato saperlo. Sappiamo solo che in quel giorno è prevista un’esercitazione antinquinamento e che se i rispettivi appuntamenti non si concretizzano prima del suo inizio i tre saranno costretti a passare l’intera notte assieme. In attesa di poter riprendere la strada di casa o in attesa di qualcos’altro.

È subito chiaro che i protagonisti della messa in scena sono la trasposizione all’interno di questo ambiente grigio e misterioso, questo microcosmo sospeso nel così è se vi pare, di diverse rappresentazioni del potere: economico per l’industriale, delle armi per il capitano e filosofico per il professore, di cui ognuno propone una visione antitetica rispetto agli altri ma estremamente rappresentativa del mondo. Il capitano porta avanti con bonario ottimismo la gestione di questa incomprensibile situazione prodigandosi in spiegazioni molto fantasiose, come ad esempio i tre indirizzi che corrispondono ai tre diversi androni d’ingresso dello stabile, dal sapore ottimistico e leggero perché viviamo nel migliore dei mondi possibili, strizzando l’occhio a Lienbiz, che per l’occasione diventa, a suo dire, il portiere del palazzo. Il commendatore, con proverbiale pessimismo misto a qualche retaggio religioso mai condiviso fino ad allora, è il primo a prefigurare la possibilità che non si tratti di un enorme malinteso ma che quel posto così indecifrabile rappresenti l’anticamera dell’aldilà e loro sono di fatto morti. Tra loro due il professore che in forza della sapienza razionale propone una visione quanto più prossima all’oggettivazione di forte stampo schopenhaueriano dove il mondo, e dunque anche quella stanza, è fortemente dipendente dalla volontà e dalla rappresentazione, perché ognuno si rappresenta il mondo così come vuole.

Da questi assunti e attraverso dialoghi dall’impronta molto comica, che suscitano risate di gusto tra gli spettatori, si snoda una riflessione sull’esistenza dell’uomo, sull’individuazione dei limiti del pensiero in bilico tra la realtà aggettiva e soggettiva dove tutto è messo in discussione nella notte che i tre si trovano a dover condividere nell’attesa di non si sa bene cosa, facendo aleggiare nell’aria la presenza di Beckett con Aspettando Godot. Una notte sul senso della vita dunque che porta a scardinare, ma non per tutti, quella sorta di suggestione collettiva ravvisabile nella quotidiana conduzione delle vite che al cospetto dell’ignoto scende a compromessi e rivede le proprie consolidate posizioni. Si aspetta l’alba? O si aspetta Dio nell’anticamera dell’aldilà? A sciogliere questo dubbio amletico è quello che in apparenza sembra essere, ed in effetti si presenta così, l’uomo delle pulizie (il popolo lavoratore). Vestito di bianco candido e irradiato di una luce che probabilmente è solo negli occhi di chi lo osserva ogni sua parola viene intesa come il Giudizio, su cui erano intenti a discorrere.

Tre sull’altalena è una commedia ironica e ben tenuta assieme dall’interpretazione leggera e divertente attorno ai temi della vita e della morte da un cast che riesce a rendere fruibile le quasi due ore di spettacolo. Massimo De Mattero, Eduardo Tartaglia e Sergio Di Paola sono gradevoli nelle loro rispettive vesti. Degna di nota, calzante all’intento della rappresentazione, è la scenografia di Luigi Ferrigno in grado di restituire il senso di un ambiente a tratti asfittico e fortemente connotato dell’ignoto. Tuttavia c’è qualcosa che sfugge, un vero movimento che consenta allo spettatore un sussulto dopo le battute di spirito, che gli consenta non la risoluzione degli interrogativi quanto piuttosto la loro reale interiorizzazione. Le buone premesse per poter andare oltre i limiti del pensabile ci sono tutte.

Info

Teatro Piccolo Bellini di Napoli

via Conte di Ruvo, 14

081 5499688 – botteghino@teatrobellini,it

Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato ore 21:15, domenica ore 18:30

Prezzi: intero 15€, ridotto 10€, ridotto titolari card Politeatro under 30 6€

 

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