The look of silence

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Siamo in Indonesia, è il 1965. L’esercito mette in pratica un colpo di stato violento e si insinua al potere terrorizzando la popolazione. Grazie a milizie civili, comincia a sterminare sistematicamente i contadini comunisti adoperando come scusa il loro ateismo e la loro condotta. Nel 2014 i mandanti e gli esecutori del massacro hanno ancora il potere politico e i sopravvissuti vivono ancora nel terrore. Oppenheimer mette in scena, come in “The act of killing”, la banalità del male ricostruendo l’assassinio di un ragazzo, grazie al supporto del suo co-autore anonimo, nonché fratello della vittima. E comincia a fare leva sulla memoria e sul ricordo andando direttamente dai carnefici ancora in vita e ponendo loro delle domande dirette.

Assassini e vittime, spesso, vivono a pochi isolati di distanza, pochi sono disposti a parlare, la ferita non si è ancora ricucita. Eppure il film di Oppenheimer può dirsi compiuto e racconta, articolandosi tra lunghi piano sequenza silenziosi, dialoghi sopra le righe e scene tesissime, l’incredibile forza di un quarantaquattrenne che cerca i mandanti materiali e gli esecutori dell’omicidio di suo fratello, morto due anni prima la sua nascita. Con freddezza e coraggio, li metterà di fronte alle proprie responsabilità. The look of silence è un vero e proprio documento unico che getta nuova luce su un pezzo di storia non ancora conosciuto ma è anche un racconto lacerante sull’assuefazione all’orrore.

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