Sparta e Atene: confronto e differenze

Sparta e Atene sono le due città-stato più importanti della fine del VII secolo. L’organizzazione dei Greci del continente ha inaugurato un periodo di stabilità, di ricchezza, di ulteriore espansione della popolazione e di esperimenti sociali ed economici che hanno fatto della Grecia una grande potenza nel Mediterraneo. I commercianti ed i colonizzatori greci hanno messo sotto controllo l’intero bacino mediterraneo, diffondendosi verso ovest in Sicilia, in Italia del sud, in Francia ed in Spagna; verso l’est in Asia Minore; a sud in Africa settentrionale e verso il nord fino al Mar Nero fondando colonie che hanno permesso a molte città della Grecia di diventare centri industriali per la trasformazione delle materie prime o concentrarsi sullo sviluppo dei raccolti specializzati quali l’uva e l’oliva, prodotti che potevano essere scambiati con grano, i minerali e pellicce.

Arnold J. Toynbee ha suggerito che l’espansione greca durante questo periodo è stata resa più facile dal fatto che le grandi potenze del Mediterraneo orientale erano temporaneamente distratte dal contrasto tra l’Assiria e la Persia per il controllo dell’ intera mezzaluna fertile, un contrasto che aveva danneggiato i commerci dei Fenici e, quindi, aveva condotto al declino temporaneo di Cartagine. Quando i Persiani infine hanno trionfato sopra l’Assiria, Toynbee suggerisce, l’espansione greca verso l’est è stata fermata.

La popolazione della Grecia continuava a svilupparsi, causando fame di terre, inflazione e nuove ricchezze ricavate dai commerci e dall’artigianato non più solo dall’agricoltura. Questa situazione ha generato gelosie e rancori tra settori agricoli e settori commerciali della popolazione. Sparta non fu influenzata da queste pressioni perché essa risolse il problema della fame di terra non mediante il commercio e la colonizzazione di terre lontane, ma attraverso la colonizzazione dei popoli vicini: i Messeni.

Sparta

Gli Spartani sottomisero il territorio dei Messeni, sottomisero gli abitanti e li ridussero a servi della gleba (Iloti). Per effettuare il loro controllo spietato sopra gli Iloti i cittadini spartani dovettero sottoporsi ad una disciplina militare durissima. Gli Spartani maschi erano addestrati alla guerra fina dall’età di sette anni e vivevano la loro vita come sentinelle di un fortino posto in territorio nemico, sempre preparati alla ribellione di un popolo a cui avevano sottratto la terra e la libertà. Gli Spartani, in cambio della sicurezza, dovettero rinunciare a diverse libertà; essi canalizzarono tutte le loro energie alla conservazione del loro potere sulle popolazioni sottomesse. Ciò diede loro una stabilità eccezionale, ma era la stabilità degli assediati. In oltre la loro creatività era ridotta a zero. Gli Spartani non dovettero subire le pressioni affrontate dagli Ateniesi nel VI secolo, ma non hanno neanche goduto dell’eccezionale periodo di creatività che le pressioni sociali indussero nel popolo ateniese.

I guerrieri spartani riempivano di timore il cuore di tutti i Greci. Avevano una reputazione meritata di gente dura e determinata. Malgrado il piccolo numero dei suoi guerrieri, circa 5000 nei periodi migliori, lo stato spartano ha conservato una posizione di predominio fra le poleis greche per circa tre secoli, ma il prezzo pagato per questa posizione è stato molto alto.

Nello stesso periodo in cui le altre città stato smaltivano la popolazione eccedente fondando colonie oltre mare, il destino degli Spartani prendeva un corso differente. In una guerra lunga contro i Messeni, i vicini abitanti a ovest, Sparta conquistava nuovi territori da adibire all’agricoltura. La prima guerra messenica (fine del sec. VIII) durò 20 anni, e durante essa i Messeni, sotto la guida del loro re Aristodèmo, furono costretti a rifugiarsi sul monte Itome, dove resistettero a lungo con disperato valore, ma a a fine dovettero arrendersi. Aristodemo si uccise per non cadere nelle mani del nemico, e i Messeni furono ridotti nella condizione di Iloti.

La seconda guerra messenica (fine del sec. VII) durò 18 anni, e durante essa i Messeni, con l’aiuto degli Arcadi, riuscirono, sotto la guida del loro ultimo re Aristomène a mettere in grave pericolo gli Spartani; ma poi questi, ripresero il sopravvento, costrinsero i Messeni a rifugiarsi nella fortezza di Ira, e, quando questa fu presa, parte dei Messeni furono ridotti nella condizione di Iloti, e parte emigrò in Sicilia, nella città greca di Zancle, che prese da essi il nome di Messana (Messina).

Gli sconfitti furono ridotti in schiavitù e uniti agli altri popoli già sconfitti e resi schiavi in precedenza durante la conquista della Laconia. Questi schiavi furono detti Iloti. Per impedire una rivolta degli Iloti, molto più numerosi degli Spartani, questi ultimi furono costretti ad adottare misure precauzionali speciali. Questo è uno dei motivi dello lo sviluppo molto differente della società e della vita di Sparta.

I fanciulli, appena nati, erano esaminati dagli anziani, e, se risultavano deboli o deformi, venivano esposti sul monte Taigeto perché fossero raccolti dai Perieci o dagli Iloti, oppure lasciati morire.

A sette anni erano sottratti alla famiglia, e, divisi in squadre, venivano affidati a pubblici educatori (pedonòmi), che dovevano temprarli soprattutto negli esercizi fisici, nelle privazioni e nelle sofferenze: perciò indossavano la stessa veste d’estate e d’inverno; portavano il capo scoperto e i piedi nudi; ricevevano un nutrimento assai scarso (famoso era il brodo nero o spartano, (rozzo intruglio, di cui ridevano volentieri gli altri Greci), e, se non riuscivano a saziare la propria fame, potevano rubare (ma, se si lasciavano scoprire, venivano gravemente puniti, non per il furto, ma per l’incapacità di tenerlo celato!); dormivano su giacigli di canne, e una volta all’anno venivano flagellati a sangue.

Dai 18 ai 20 anni si addestravano alle armi; dai 20 ai 30 anni facevano parte dell’esercito; a 30 anni acquistavano i diritti politici e potevano ammogliarsi, ma fino ai 60 anni erano obbligati a partecipare una volta al giorno ai pasti militari in comune (i cosiddetti sissizi), per cui fino ai 60 si potevano considerare soldati in permanenza.

Anche le fanciulle, benché allevate in famiglia, erano addestrate agli esercizi ginnastici e ricevevano la stessa educazione dei maschi; e le donne spartane rimasero famose per la loro fortezza d’animo e per il loro amor di patria.

Le madri, quando i figli partivano per la guerra, consegnavano loro lo scudo, ammonendo: “0 con questo o su questo”, significando che bisognava ritornare vincitori con lo scudo o giacere su di esso cadaveri.

Leggi severissime, infine, colpivano il lusso e impedivano il formarsi di grandi ricchezze: così, ad es., furono vietate le monete d’oro e d’argento, e permesse solo le monete di ferro pesanti e grossolane, perché rifiutate da tutti i popoli vicini.

La guerra contro gli Arcadi (VI secolo) Gli Spartani si rivolsero quindi contro gli Arcadi, che nella seconda guerra messenica avevano portato aiuto ai Messeni; ma, avendo trovato una fierissima resistenza tra le montagne inaccessibili della regione, rinunciarono per sempre alla loro politica di annessione e preferirono stringere con gli Arcadi un trattato di alleanza.

La guerra contro gli Argivi (VI secolo) – Gli Spartani si rivolsero poi contro Argo e riuscirono a strapparle gran parte dei suoi territori.

Poco dopo Sparta otteneva anche l’alleanza dell’Èlide, che racchiudeva entro i suoi confini il sacro recinto di Olimpia, dove si celebravano i Giuochi olimpici, guadagnando in tal modo una grande influenza sulla organizzazione dei giuochi e su tutti i popoli che accorrevano ad essi.

La lega peloponnesiaca. – Si venne in tal modo costituendo una potente Lega peloponnesiaca, con cui Sparta ottenne l’egemonia su quasi tutto il Peloponneso.

Questa lega ebbe soprattutto uno scopo militare, perché i singoli Stati che la componevano, pur conservando la propria autonomia negli affari interni, si obbligavano a fornire a Sparta, in caso di guerra, una certa quantità di denari e di soldati; ma ebbe anche uno scopo politico, perché i medesimi Stati per le inevitabili interferenze tra la politica estera e la politica interna, si diedero, sull’esempio di Sparta, dei governi aristocratici, e, in tal modo, la Lega peloponnesiaca divenne una confederazione di Stati a regime aristocratico.

La società

La popolazione della Laconia era divisa in tre gruppi:

gli Spartiati (o abitanti di Sparta), cioè i discendenti dei Dori conquistatori, che erano poche migliaia, e godevano di tutti i diritti civili e politici. Essi possedevano la maggior parte delle terre, e, soli tra gli altri abitanti della Laconia, si dedicavano all’esercizio delle armi e al governo dello Stato. Essi in pratica vivevano come un esercito permanente accampato in mezzo ad un territorio occupato militarmente.
i Perièci (o abitanti all’intorno, del contado), cioè i discendenti dell’antica popolazione indigena, ai quali i conquistatori avevano lasciato il possesso delle terre. Essi, per quanto più numerosi degli Spartiati, godevano dei soli diritti civili, e, in caso di guerra, servivano nell’esercito come fanteria pesante. Essi erano liberi agricoltori, artigiani, mercanti, e costituivano una borghesia attiva e intelligente.
gli Iloti (nome di origine incerta), anch’essi discendenti dall’antica popolazione indigena dei Messeni, ma ad essi i conquistatori non avevano lasciato il possesso delle terre. Essi, per quanto più numerosi degli Spartiati e dei Perièci, erano privi di tutti i diritti civili e politici. Erano veri e propri « servi della gleba », che lavoravano le terre degli Spartiati con l’obbligo di dare ad essi una parte dei prodotti del suolo, e, in caso di guerra, servivano nell’esercito come fanteria leggera o nella flotta come rematori. Essi erano inoltre soggetti a violenze ed umiliazioni di ogni genere, perché, dato il loro numero, potevano costituire un pericolo per lo Stato: erano costretti a portare un cappello di cuoio e una veste di pelle di pecora, per distinguersi dal resto della popolazione; venivano uccisi per ogni minimo sospetto; se ne ordinava spesso un massacro per ridurne il numero; e, una volta all’anno, si dichiarava ad essi guerra, salvo concedere subito dopo una tregua.

LA COSTITUZIONE

Gli organi del potere politico spartano erano: i due re, la Gerusia, l’Apella, gli Efori

I due re ereditari (diarchia), appartenenti a due distinte dinastie, quella degli Agladi e quella degli Euripòntidi, che fin ai tempi più antichi si erano divise il potere. I re spartani godevano di molti privilegi personali, come il posto d’onore nei banchetti pubblici e nelle feste, la prima parte nella spartizione del bottino, ecc.; ma avevano poteri limitati, come quello di presiedere le adunanze della Gerusìa e dell’Apella, di comandare l’esercito in pace e in guerra (ma sotto la sorveglianza degli Efori), di amministrare la giustizia (ma solo nelle cause riguardanti le eredità e le adozioni), e di dirigere il culto religioso.
la Gerusìa (o Consiglio degli Anziani), che era composta da 28 membri, nominati a vita dall’Assemblea popolare, tra i cittadini che avessero almeno 60 anni (cioè in età libera dal servizio militare). Essa trattava gli affari più importanti dello Stato, preparava i progetti di legge da sottoporre all’Assemblea del popolo, e, inoltre, aveva funzione di tribunale per i reati di sangue e per i processi di carattere politico.
l’Apella (o Assemblea popolare), che era formata da tutti i cittadini spartani che avessero almeno 30 anni, e che era convocata una volta al mese, nel plenilunio. Essa eleggeva i membri della Gerusia e gli altri magistrati, approvava o rigettava senza discussione le proposte che i Geronti le presentavano, deliberava della pace e della guerra, e, in caso di morte di un re, decideva sul diritto al trono del suo successore.
Una magistratura propria di Sparta fu poi l’eforato, che secondo la tradizione fu istituito nell’VIII secolo. Gli Èfori (o «ispettori»), in numero di cinque, erano eletti per un anno dall’Assemblea popolare.Essi furono dapprima incaricati di vigilare sui poteri dello Stato, perché non violassero la costituzione; ma più tardi, verso il secolo V, finirono per accentrare nelle loro mani tutti i poteri, perché presiedevano la Gerusia e l’Apella, vigilavano su tutta la condotta dei cittadini (Spartiati, Perieci, Iloti), e formavano un tribunale supremo, che poteva perfino giudicare e condannare i re. Il primo degli Efori dava il nome all’anno, come i consoli a Roma, e perciò si diceva epònimo.

Le ragioni della decadenza di Sparta

Il più grave problema di Sparta era tuttavia il mancato ricambio della classe dirigente. Gli spartiati rifiutavano qualsiasi ammissione di altre persone alla loro classe, si sposavano solo fra loro e tendevano ad avere pochi figli (anche perché solo il maschio primogenito avrebbe ereditato la terra.
La mortalità infantile, allora assai elevata, riduceva ancor più il numero degli aristocratici.
Lentamente, dunque, gli Spartani divennero sempre meno numerosi e crebbero le difficoltà nel controllare una vasta regione con circa mezzo milione di abitanti. Inoltre, la rigida determinazione degli spartiati nel non concedere la cittadinanza ad alcuno e il loro disprezzo per le attività economiche impedirono che si formasse una classe di artigiani e commercianti, come ad Atene. Tali attività restarono quindi nelle mani dei perieci.
Molto spesso gli storici, mettendo a confronto Sparta e Atene, sottolineano maggiormente i caratteri negativi della prima e quelli positivi della seconda. Si parla così di Sparta come di una società tipicamente schiavista. È ben vero infatti che Sparta utilizzò largamente il lavoro servile degli iloti; ma tutte le città greche, compresa Atene, si servivano del lavoro degli schiavi. Spesso, inoltre, si considera Sparta come la città greca più guerriera del suo tempo. Ciò è vero, in quanto la società spartana era una società di soldati; tuttavia Sparta fu coinvolta in un numero assai minore di guerre che non Atene, città desiderosa di espandersi militarmente. Lo scopo dello Stato spartano infatti fu generalmente quello di salvaguardare se stesso e il proprio sistema politico. Perciò si limitava a controllare le regioni dipendenti o ad appoggiare i partiti aristocratici delle città vicine.

Atene

Se l’immagine lasciata da Sparta nella storia è stata quella di un’oligarchia guerriera determinata e ben decisa a non accettare alcun accenno di dialogo con le popolazioni sottomesse, Atene, invece, viene da sempre associata alla democrazia e al massimo sviluppo artistico e intellettuale della Grecia. Molte delle invenzioni del pensiero dovute ai Greci sono legate alla città di Atene.

La posizione geografica di Atene era molto favorevole ad uno sviluppo agricolo, commerciale e industriale. Atene era situata nelle vicinanze del porto del Pireo e del Falero, era la città capitale di una regione, l’Attica, ricca di miniere di argento e di piombo, dotata di fertili pianure e di rigogliose foreste da cui ricavare legname per le costruzioni, ricca di cave di pietra e marmo. La città di Atene e la regione dell’Attica costituirono sempre una sola entità politica. La posizione geografica dell’Attica era felice anche dal punto di vista della difesa, essendo protetta da una corona di catene montuose.

Dalla monarchia all’oligarchia

Nel nostro immaginario Atene è legata alla nascita e all’esercizio della più antica democrazia della Storia. Si trattava comunque di una democrazia diversa da quella che noi conosciamo, e che il risultato di un lungo e doloroso processo fatto di contrasti molto duri fra le esigenze di gruppi sociali diversi: gli aristocratici, i mercanti, gli artigiani, i piccoli proprietari terrieri e i proletari.
La democrazia, come tante altre istituzioni umane, è un concetto difficile da definire esattamente. In istituzioni politiche diverse e in diverse situazioni, “la democrazia” prende molte forme. Per esempio, l’Unione Sovietica sosteneva di essere una democrazia, ma lo era veramente, nel senso etimologico del termine? Probabilmente no. Allo stesso modo ci domandiamo: sono gli Stati Uniti d’America una democrazia? Forse no: nel senso più rigoroso del termine il governo rappresentativo americano appare più vicino a quello che i Greci definivano “aristocrazia”, ossia governo dei migliori, piuttosto che “democrazia”, ossia governo della gente.
Le poleis erano essenzialmente un’agglomerazione urbana che dominava sopra la campagna circostante. A causa del relativo piccolo numero dei cittadini le poleis hanno potuto sperimentare in modo sorprendentemente dinamico un gran numero di modelli di governo. Dopo che gli aristocratici si furono liberati dei loro re le diverse poleis generarono governi oligarchici, timocratici, aristocratici, democratici e tirannici.

La repubblica aristocratica

Dopo essersi sbarazzati della monarchia i nobili si impadronirono del potere. Con l’istituzione della repubblica il governo passò a un collegio di nove arconti ( capi), scelti fra i nobili (i cosiddetti Eupatrìdi), che dapprima furono eletti a vita, poi ogni dieci anni, e infine ogni anno.

I primi tre arconti, che avevano maggiore autorità, erano:

l’arconte epònimo (cosiddetto perché col suo nome si designavano gli anni), il quale presiedeva l’intero collegio.
l’arconte basilèus ( arconte re), il quale attendeva al culto.
l’arconte polemàrco, che aveva il comando dell’esercito in pace e in guerra.
Gli altri sei arconti erano detti tesmotèti (custodi delle leggi) e amministravano la giustizia.

I nove arconti, quando finivano l’anno di carica, andavano a far parte dell’Areopàgo, essendo formato da gente anziana e pratica degli affari, sorvegliava la condotta dei magistrati, e fungeva da tribunale per quei reati di sangue per i quali era comminata la pena capitale. L’Areopago era così denominato dal colle di Ares (o Marte), presso l’Acropoli, sul quale teneva le sue sedute.

Il codice di Dracone

Ma l’illimitato potere dei nobili suscitò un forte malcontento nel resto della popolazione, e particolarmente nei piccoli proprietari, che, per la scarsità dei prodotti del suolo e per la concorrenza dei prodotti stranieri, erano costretti a contrarre debiti, e, nel caso di insolvenza, venivano spogliati della loro terra, o addirittura ridotti in schiavitù; e nei molti cittadini che si erano arricchiti nell’industria e nel commercio, e che, esclusi dal governo, aspiravano a farne parte.

Nel 621 i nobili credettero opportuno scendere a qualche concessione, e, perciò, affidarono all’arconte Dracone l’incarico di compilare un codice scritto, in modo che i magistrati non potessero più perpetrare arbitri e soprusi a danno del popolo; ma tale codice, che registrava le norme consuetudinarie esistenti, apparve severissimo verso la plebe, e insufficiente a risolvere i più vitali problemi di quel tempo.

La Riforma costituzionale di Solone: la repubblica timocratica

Il merito di aver operato una vasta e profonda riforma, che nella storia di Atene ha la stessa importanza di quella attribuita a Licurgo in Sparta, spetta all’arconte Solone, nato ad Atene verso il 640 a. C.

Solone (640-560 a.c.) In un contesto di forte disgregazione sociale, attuò nel 594a.c. una vasta opera riformatrice, volta a superare i contrasti tra aristocrazia e ceti medio bassi. Fu promotore di una riforma che sostituiva, per ricoprire le alte cariche di governo, il criterio della ricchezza a quello della nobiltà di sangue (timocrazia), assicurando cosi il ricambio della classe dirigente. Ciò comportò la divisione della popolazione in quattro categorie (pentacosiomedimni, cavalieri , zeugiti , teti ) classificate a seconda della rispettiva produttività. Inoltre decretò la SEISACHTEIA (“scuotimento dei pesi”) , che annullò le ipoteche sulle persone abolendo così la schiavitù per debiti.

Egli divise i cittadini in quattro classi:

1) i pentacosiomedimni, cioè coloro che possedevano una rendita annua di almeno 500 medimni di cereali; oppure, se non erano proprietari, una rendita di almeno 500 dramme. Il medimno era una misura di capacità (per solidi), che corrispondeva a 52 litri.

2) i cavalieri, cioè coloro che possedevano una rendita annuale di almeno 300 medimni; oppure una rendita di almeno 300 dramme. I cavalieri erano così chiamati perché potevano mantenersi un cavallo da guerra.

3) gli zeugìti, cioè coloro che possedevano una rendita annuale di almeno 200 medimni, oppure una rendita di almeno 200 dramme. Gli zeugiti erano così chiamati da « zèugos », o coppia di buoi, perché avevano bisogno di una coppia di buoi per arare le loro terre.

4) i theti, cioè coloro che possedevano una rendita annuale inferiore, e che perciò erano esenti dalle imposte.

I pentacosiomedimni e i cavalieri potevano aspirare all’arcontato e alle cariche maggiori; gli zeugìti potevano spirare alle cariche minori; i theti erano esclusi da ogni carica, ma potevano partecipare all’assemblea popolare e giudicare nei tribunali.

3. Solone riparti quindi il governo di Atene fra i seguenti corpi politici:

a) l’Arcontato, composto di membri delle prime due classi, con poteri immutati.

b) l’Areopàgo, composto dagli arconti usciti di carica, che avessero disimpegnato con onore il loro ufficio.

Esso continuò, come prima, a sorvegliare la condotta dei magistrati e a fungere da tribunale per i reati di sangue; ma, ciò che è molto importante, ottenne il diritto di veto sulle deliberazioni dell’Ecclesia. Esso divenne in tal modo un corpo politico conservatore, che sarebbe servito di contrappeso alle spinte, eventualmente rivoluzionarie, dell’opinione pubblica.

c) l’Ecclesìa (Assemblea popolare), composta di tutti i cittadini, compresi i theti, che avessero compiuto i 20 anni di età. Essa eleggeva i magistrati (arconti, ecc.), e deliberava sulle proposte di legge presentate dagli arconti.

d) l’Elièa (cosiddetta forse da élios, sole, perché il luogo delle adunanze doveva essere soleggiato), composta di tutti i cittadini che avessero compiuto i 30 anni. Essa era un tribunale popolare, corrispondente alle giurie delle nostre Corti di Assise, il quale giudicava in appello delle cause civili e in unica istanza delle cause criminali.

La tirannia

Ma la costituzione di Solone, se ebbe a soddisfare i desideri dei grandi proprietari di terre e delle classi più ricche, suscitò molto malcontento tra i piccoli proprietari fondiari e tra gli artigiani e i commercianti, che reclamavano vantaggi superiori a quelli ottenuti. Nel 561 un cittadino di grande talento politico, Pisistrato, approfittando di questo malcontento, riuscì con un colpo di Stato a farsi tiranno di Atene.

I nobili, con a capo la potente famiglia degli Alcmeònidi, gli furono naturalmente avversi, e lo costrinsero a prendere la via dell’esilio; ma egli, sbarcato a Maratona con truppe mercenarie, riuscì ad entrare in Atene, mantenendosi al potere per quasi un ventennio (546-528).

Pisistrato, pur lasciando sussistere nelle sue linee generali la costituzione di Solone, governò molto saggiamente sia nella politica interna, sia in quella estera. Nella politica interna favorì i piccoli proprietari, distribuendo tra essi le terre confiscate ai nobili ribelli; accordò protezione all’industria di fronte alla concorrenza dei prodottí stranieri; promosse lo sviluppo dei traffici, abbellì inoltre la città con splendidi monumenti, fra cui il Tempio di Atena (detto Hecatompédon), sull’Acropoli; protesse intellettuali ed artisti, ecc.

Nella politica estera, comprendendo che l’avvenire di Atene era sul mare, promosse lo sviluppo della marina mercantile e da guerra; fondò le prime colonie ateniesi sull’Ellesponto, in modo da controllare gli Stretti e assicurare ad Atene l’importazione dei cereali dal Mar Nero; strinse relazioni amichevoli con parecchi Stati della Grecia.

Alla morte di Pisistrato il popolo ateniese, volendo attestare la propria gratitudine verso il tiranno, accettò di buon grado che il figlio Ippia continuasse ad esercitare il potere. Ma Ippia, pur proponendosi di procedere sulle orme del padre, non ebbe le qualità politiche di lui. Quando due giovani, Armodio e Aristogitòne, ordita una congiura, assassinarono il fratello Ipparco (514), egli divenne crudele e sospettoso, scavando un abisso tra sé e il popolo.

I nobili, che erano stati mandati in esilio, con l’aiuto degli Spartani mossero allora contro Atene, posero l’assedio all’Acropoli, e costrinsero Ippia alla fuga

Egli riparò in territorio soggetto alla Persia, dove possedeva delle terre e in qualità di vassallo, incitò quel re ad assalire la Grecia.

Clistene

Dopo la cacciata di Ippia fu eletto arconte Clistene, che, sebbene appartenente alla nobile famiglia degli Alcmeonidi, introdusse nella costituzione di Solone riforme ancor più democratiche.

Egli abbassò i limiti del censo, perché un maggior numero di cittadini potesse partecipare al governo, e, pur lasciando sussistere i corpi politici creati da Solone, tolse molta importanza agli arconti, creando un corpo politico nuovo, la Bulè (Senato), costituita da 500 membri, non più eletti, ma sorteggiati tra i cittadini delle prime tre classi che avessero compiuto 35 anni. Il sorteggio, eliminando corruzioni o violenze, impediva che alla Bulé fossero elevati soltanto i cittadini più ricchi e influenti. La Bulé clistenica ebbe estesi poteri amministrativi, finanziari, giudiziari, ecc., che prima erano stati propri degli arconti; e, inoltre, il compito di preparare i disegni di legge, che dovevano essere sottoposti all’approvazione dell’Ecclesia.

La Bulé, per ovviare alla difficoltà di tenere sempre o troppo spesso adunata un’assemblea così numerosa, era divisa in dieci sezioni di 50 membri che prendevano il nome di pritanìe e che amministravano a turno lo Stato per una decima parte dell’anno circa 36 giorni. I pritàni, perché tutti, ricchi o poveri, potessero prendere parte al governo, erano mantenuti a spese dello stato, nel Pritanèo.

Clistene limitò anche i poteri dell’Arconte polemarco, lasciandogli il comando dell’esercito in pace, ma sostituendolo in guerra con dieci generali, detti strateghi (magistratura forse esistente fin dai tempi di Pisistrato), i quali erano eletti annualmente, uno per tribù, dall’Ecclesia.

Clistene, infine, volendo evitare per l’avvenire il pericolo della tirannide, istituì il cosiddetto ostracismo, per cui l’Assemblea popolare, quando fossero presenti almeno 600 cittadini, poteva esiliare per un periodo di dieci anni quel cittadino che anche senza particolari accuse, fosse ritenuto pericoloso per lo stato.

Questo provvedimento, che prese il nome dal coccio (òstracon), sul quale i cittadini scrivevano il nome del denunziato, non comportava la confisca dei beni e l’esilio ottenuto in questo modo non era ritenuto una una pena infamante. Esso raggiunse tuttavia spesso l’effetto opposto a quello per cui era stato creato, permettendo ad uomini politici già molto influenti di sbarazzarsi dei loro, avversari, e, in tal modo di privare il partito opposto dei suoi capi.

Gli abitanti più deboli esclusi dalla società

Dalla cittadinanza ateniese, e quindi dal governo democratico della città, restarono escluse alcune categorie di abitanti, le più numerose: i meteci, le donne e gli schiavi.
I meteci erano gli stranieri residenti ad Atene. Si occupavano di commercio e artigianato, gestivano proprietà e investimenti dei cittadini ateniesi, sfruttavano le miniere d’argento e spesso erano, per questo, molto ricchi.
Erano ben visti ad Atene, sia perché ne favorivano lo sviluppo economico e commerciale, sia perché pagavano annualmente forti tasse. Inoltre in caso di guerra erano reclutati per i servizi dell’esercito e della flotta. Tuttavia il matrimonio fra cittadini e meteci era proibito per legge: i figli di tali matrimoni illeciti non avevano diritti politici.
Neppure le donne avevano diritti politici, ma ciò costituiva la regola in tutto il mondo antico. Esse, per tutta la loro vita, erano sottomesse a qualcuno: al padre, al marito, al figlio se vedove. Non potevano amministrare i loro beni né scegliersi un marito o chiedere giustizia in tribunale. Occupavano, però, un ruolo molto importante nelle cerimonie religiose e nel culto di alcune divinità. Sacerdotesse e profetesse vivevano nei più celebri santuari greci per interpretare i responsi degli dei.
Assenti dalla vita politica, le donne greche erano comunque presenti nella poesia e nella musica e in tutte le grandi opere della letteratura greca, persino come eroine.
Gli schiavi venivano acquistati o catturati in guerra o con incursioni piratesche in Tracia e nel mar Nero. Dopo l’abolizione della schiavitù per debiti, infatti, mancarono gli uomini da utilizzare nelle fattorie, nelle miniere, nelle manifatture, nel lavoro domestico. Spesso il numero degli schiavi ad Atene superava di gran lunga quello degli stessi cittadini. Gli schiavi tuttavia potevano essere liberati, e ciò avveniva con una certa frequenza, anche se non abbiamo informazioni precise.

Democrazia diretta e democrazia rappresentativa

Pur con questi limiti, l’esperienza democratica di Atene e di altre città greche rappresenta un momento fondamentale nella storia della civiltà. Con essa per la prima volta si stabilì il principio del potere sovrano del popolo, dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, della libertà di parola. Molti di questi principi sono stati « riscoperti » dall’uomo moderno soltanto in tempi relativamente recenti.

Oggi in Italia tutti i cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno di età, senza distinzione di sesso, hanno il diritto di voto; l’articolo 48 della nostra costituzione stabilisce infatti che « sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età ». Ma non bisogna dimenticare che il suffragio universale maschile è stato introdotto in Italia nel 1918, e che soltanto nel 1948 le donne hanno ottenuto nel nostro paese il diritto di voto. In altri stati il voto alle donne è stato riconosciuto ancora più tardi, in altri ancora non è previsto. Queste considerazioni ci fanno comprendere meglio, per contrasto, l’importanza delle democrazie antiche e attenuano il giudizio negativo su quelli che abbiamo definito i loro « limiti ».

Questi limiti inoltre dipendevano in gran parte dalla natura stessa della democrazia antica; essa era infatti una democrazia diretta: ad Atene, tutti i cittadini partecipavano all’assemblea e ogni cittadino influiva direttamente, con il proprio voto, su tutti i problemi che riguardavano la vita dello Stato. Questo modo di governare presupponeva in ogni caso che i cittadini fossero poche migliaia: solo così infatti avrebbero potuto riunirsi in un luogo comune e deliberare senza che il dibattito politico degenerasse nel caos. Da qui la necessità di non estendere a dismisura il corpo civico.

Le democrazie moderne, in cui i cittadini sono decine di milioni sparsi su territori enormi, sono proprio per questo democrazie indirette: in esse funziona cioè un sistema di tipo rappresentativo; il popolo, con le elezioni, delega periodicamente il governo dello Stato ai suoi rappresentanti; da questo momento esso non può più influire direttamente sulle scelte politiche. Può però, con nuove elezioni, alle scadenze previste dalla Costituzione dei diversi paesi, confermare le sue scelte o modificarle.

L’espansionismo di Atene, città troppo ricca e potente
Atene divenne ben presto una vera e propria potenza marittima. Una volta iniziata, la sua politica aggressiva di concorrenza commerciale e di espansione politico-economica ebbe per la città conseguenze negative, perché la portò alla rivalità con altre città, greche o della Magna Grecia, che avevano interessi in contrasto con i suoi.
Così, in poco meno di due secoli, Atene fu coinvolta in più di trenta guerre. Una delle più terribili fu quella contro i Persiani. Si trattò, però, di una guerra in difesa della libertà e Atene la combatté insieme alle altre città della Grecia.

Importanza della retorica

In una democrazia diretta e non rappresentativa come quella ateniese diventava indispensabile, per chi voleva fare una carriera politica, imparare a parlare ad un’assemblea di qualche migliaio di concittadini non sempre benevoli senza l’aiuto di un altoparlante. Occorreva conoscere la psicologia della folla e sentirne gli umori, occorreva riuscire a farsi sentire dando comunque l’impressione di essere calmi, occorreva saper argomentare senza annoiare il pubblico che doveva decidere pro o contro il discorso appena sentito. Nasceva quindi nelle poleis democratiche l’arte della retorica, l’arte del commuovere e del convincere. A volte gli stessi maestri di retorica erano anche maestri di filosofia e di vita: retorica, politica e filosofia spesso convivevano.

Manfredi

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