Sotto le ciglia chissà: i diari di Fabrizio De Andrè

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I frammenti di diari di Fabrizio De Andrè, raccolti da Dori Ghezzi nel volume Sotto le ciglia chissà (Mondadori, 2016), sono una manna dal cielo per i fan del cantore genovese.

Un’operazione che raccoglie, non in ordine cronologico, gli appunti e le riflessioni di un artista che non si considerava un poeta e che usava la scrittura come veicolo per filtrare il reale. Annotava tutto: riflessioni sull’amore, sul sesso, sulla politica, addirittura sulla sua dipendenza dall’alcol e ne viene fuori un ritratto umano di un artista timido, che ha sempre sofferto la sua provenienza borghese preferendo il punto di vista dei marginali.

Frammenti brevi come aforismi oppure pensieri estesi, quasi istintivamente, su sacchetti per rifiuti di compagnie aeree, agende o su pezzi di carta. Un percorso che scava nell’intimità dell’uomo, più che dell’artista, forse anche in maniera invadente, che può essere un utile corredo alla biografia di Luigi Viva, “Non per un dio ma nemmeno per gioco”, e ai due volumi di Cesare G. Romana.

Il ritratto che emerge dalle sue parole è di una persona colta, che ha trascorso le sue nottate a consumarsi gli occhi sugli autori amati, lucida, che faceva partire i suoi ragionamenti da un punto di vista altro non allineato.

Se visto, quindi, come un oggetto-feticcio per conoscere qualcosa in più di De Andrè, “Sotto le ciglia chissà” fotografa l’esperienza di vita e artistica del cantautore e fa venir fuori il processo di creazione, profondo e puntuale, alla base della propria opera. Emerge, inoltre, una forte spiritualità, venuto fuori dopo il sequestro, che ha finito, poi, per condizionare la discografia a venire. Emerge un uomo, oggi quasi ridotto a santino, dall’animo sincero, sensibile ma anche dai numerosi lati oscuri, angosciosi, che ha sempre cercato di capire e dominare.

Probabilmente è soprattutto di questo De Andrè che abbiamo bisogno, per dare un senso più compiuto alla sua opera e alla nostra visione del mondo.

 

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