Se’ Nummari

se nummari

Se Nummari, il nuovo lavoro di Vincenzo Pirrotta su un testo di Salvatore Rizzo, è intenso, poetico, lacerante e struggente. Avete l’obbligo morale, anche se non siete appassionati di teatro, di andarlo a vedere non solo perché si tratta di uno spettacolo potente ma perché tratta, senza pietismi, un tema delicatissimo.

Orazio e Anna, interpretati da Filippo Luna e Valeria Contadino, cercano di crescere, nel modo più consono possibile, un figlio affetto da tetraplegia spastica. La loro vita è segnata da paure, angosce, odio verso un dio assente e perdita di equilibri. La distanza tra loro si fa, ogni giorno, sempre più forte e il ritmo delle loro esistenze è scandito dalle visite mediche, dagli ospedali, dalle continue rinunce per stare accanto a “stu corpu mortu, ‘sti ammi e ‘sti vrazza senza forza, sta faccia ca gioia e dulùri su ‘a stessa cosa”. Neanche un sei al Superenalotto riesce a restituire, dopo la frenesia iniziale, alla famiglia un po’ di felicità. C’è sempre lo spettro di un figlio che non possono vivere pienamente e di un inferno quotidiano che non riescono a gestire.

In un’atmosfera onirica e spenta, complici le luci di Franco Buzzanca e le musiche di Giacomo Cuticchio, si consuma la tragedia di Orazio e Anna, scaraventati, dopo il matrimonio, in una realtà pesante, una ferita sempre aperta che non riescono a ricucire. L’ostico dialetto siciliano amplifica ancor di più il dolore interiore di queste due anime alla deriva che, col passare degli anni, consumano irrimediabilmente anche la loro umanità. Qual è la verità di un padre e di una madre di fronte a un tale dramma? Dopo più di diciotto anni di cure attente, di protezioni, di oblio, non c’è una verità oggettiva, una strada da seguire ma solo follia, se non si raggiunge la maturità giusta per gestire al meglio la situazione.

Il testo di Rizzo è straordinario, tragico come i volti delle prefiche, intimo e granitico. Fa male, è feroce e la ritualità scenica di Pirrotta con le nenie, i pianti strozzati, le ripetizioni, i veli, le luci basse, restituiscono, per mille, la devastazione dei protagonisti man mano che si approssimano verso il gesto macabro finale.

Entrambi credibili, Luna e Contadino sono magistrali interpreti di uno spettacolo vero e raro, e lasciano un segno indelebile nello spettatore che non dimenticherà mai il volto di un Orazio disperato che dialoga con Dio o di Anna, che cerca di far pronunciare la parola “Ma-mma” a suo figlio. Un’interpretazione viscerale, brutale e dolce, densa di pathos, che ci mette di fronte a una verità infallibile : la vita è una tombola, si può vincere e si può perdere, anche la dignità di uomo.

 

 

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