Salone del Libro 2018: (Cosmi)Cronache di sabato 12 maggio

TERZO GIORNO – SABATO 12 MAGGIO

salone

(Qui la prima parte e qui la seconda)

Sabato. Ci sono decisamente più persone. Ma la sottoscritta gioca d’anticipo e alle 9.15 è già con sommo gaudio all’interno del Lingotto. Al contempo, dal momento che sopravvaluto la mia resistenza psicologica e fisica, mi sono segnata una decina d’eventi a cui partecipare che si riducono (si fa per dire) a quattro.

Eccoli.

  • Ultimamente si sta parlando parecchio di Jessa Crispin, autrice del libro Perché non sono femminista– sottotitolo Un manifesto femminista (edito dall’amatissima Sur), un titolo in apparenza ossimorico e se non altro particolare. Decido di andarla a sentire per comprendere meglio le sue posizioni. Dialoga con Christian Raimo, che cerca di andare a fondo nei temi trattati dal pamphlet. Quelle della Crispin sono posizioni decisamente particolari, che hanno suscitato non poche polemiche (anche per la forma molto diretta e sfrontata con cui sono esposte). Ciò che l’autrice disprezza sono determinati atteggiamenti del femminismo contemporaneo – detto della quarta ondata. Si parla prima di tutto dei pericoli di un femminismo universale, cioè un femminismo sotto la cui ala ci si rintani come fosse un brand, una marca, un qualcosa che può aiutare a far ottenere risultati nel mondo del lavoro. Così il femminismo si fa superficiale e si snatura, perché non può esistere un femminismo che non sia anche complesso e faticoso (come lo sono i temi trattati). È accettato, insomma, finché non intacca gli strati profondi della società. Inoltre esiste la tendenza di alcune donne a strumentalizzare il femminismo per fare la parte delle vittime – cosa che sono, ma che non dev’essere una scusa per nessuna azione compiuta. Inoltre, il femminismo contemporaneo è molto concentrato sul self-empowerment, cioè sulla valorizzazione del sé, sostiene la Crispin, a discapito degli altri. La bellezza non ha nulla a che vedere con i discorsi politici. Sono teorie che non devono servire al singolo, ma essere applicate alla società. Uno dei punti mancanti è appunto quello del dialogo su un nuovo sistema. Si parla di distruggere il patriarcato, ma (quasi) mai di quale sistema dovrebbe andare a sostituirlo. Su questo la Crispin non ha dubbi: il patriarcato ha fallito, ma non è detto che ciò verso cui stiamo andando sia un sistema migliore. Molte donne credono che la vittoria sia nel distruggere il mondo dell’uomo, ma non è questo il punto. Anche sul #MeToo piovono polemiche, come quella di risposte non proporzionate alla colpa (la Crispin le giudica eccessive, in alcuni casi). Certo è che la lotta dev’essere intersezionale: se si lotta per uno stato giusto non bisogna occuparsi solo di una categoria, ma dell’uguaglianza per ognuno. Le condizioni devono migliorare per tutti. Nella lotta femminista attuale ancora alcune donne vengono escluse, soprattutto transgender. È in questo femminismo dei ricchi e dell’apparenza che, dice la Crispin, sta il fallimento del femminismo contemporaneo. Non voglio entrare nei dettagli, certo è un argomento complesso. Su tanti punti concordo con la Crispin, ma su altri dissento con forza. Il suo massimo errore sta, a mio parere, nel credere che non non ci sia bisogno di fare dell’insegnamento femminista, della pedagogia sociale, e soprattutto che gli uomini siano destinati a restare fuori dal movimento – oggi che, invece, appare chiaro che gli uomini per il femminismo siano solo e soltanto un bene ulteriore. Ad ogni modo, un libro importante e che sono contenta di aver visto arrivare in Italia grazie a Sur.

jessa crispin

  • Entrare nella sala in cui si terrà l’incontro con Javier Marías si traduce in una delle più grandi sfide della mia vita, oltre un’ora di fila e un mare di gente. Per fortuna riesco a farcela, e lo ascolto presentare il suo ultimo romanzo edito da Einaudi, Berta Isla. Quelli di Marías sono libri che danno una forma plastica al tempo, libri fatti di riflessioni e digressioni. Berta Isla è la storia di un matrimonio, ma anche di un membro dello spionaggio. Si parla spesso delle indagini, ma quasi mai della vita precedente e successiva a quella da spia. Si parla d’innamoramento, ma anche dell’approvazione di quello stesso innamoramento – non basta amare, capisce la protagonista omonima di Berta Isla – c’è bisogno anche di riconoscere quell’amore e d’impegnarsi per far sì che resista. La storia di un matrimonio complesso si fa metafora inevitabile sul conoscere gli altri, su quanto la vita sia fatta di realtà e quanto d’interpretazione. Spesso le certezze sono soltanto fatti a cui abbiamo deciso di credere. C’è bisogno di certezza, nella vita, e per questo c’è bisogno di romanzi, il mezzo che secondo Marías più di tutti è in grado di darne, l’unico territorio che contiene una storia definitiva. Per il resto, tutto è immaginario e inspiegabile. Tutto è di continuo smentito, modificato, riscritto, reinterpretato, rettificato. Leggiamo come difesa verso il continuo mutare del mondo.

marias

  • Esco ufficialmente dal Lingotto e mi sposto nuovamente, come giovedì, alla Libreria Trebisonda (a cui mi sono ormai affezionata) per ben due incontri del Salone Off. Il primo è organizzato da Tunué e vede protagonisti i romanzi Dimentica di respirare di Kareen De Martin Pinter e L’amore a vent’anni di Giorgio Biferali, le due novità del catalogo diretto da Vanni Santoni. Si cerca così di trovare punti in comune e differenze tra i lavori dei due autori. Prima di tutto, il nome dei due protagonisti, Giuliano (in Dimentica di respirare) e Giulio (in L’amore a vent’anni). Entrambi hanno a che fare con una mancanza e con la ricerca di un qualcosa con cui colmarla. Il libro di Biferali si apre proprio con una lista di cose che a Giulio mancheranno andando via da Roma, e che al momento giusto non ha avuto la prontezza di pronunciare. La sua vita è trascorsa nella città eterna, e adesso si trova in quel momento di passaggio che sta tra l’adolescenza e l’età adulta. Giuliano è invece già adulto, e la sua vita è trascorsa sott’acqua, oppure nell’attesa dell’immersione. È infatti un apnista, un atleta cioè che sa trattenere il respiro e fa di questo il suo lavoro. L’apnea è l’arte di non respirare, il coraggio di fare di continuo i conti con il proprio respiro e, quindi, con la propria possibilità di morire. La morte con cui ha a che fare Giuliano è una morte concreta e fisica, lo sportivo esiste in uno sforzo che è già il senso dell’azione. Anche Giulio ha a che fare con la morte – ma una morte psicologica, interiore, un’idealizzazione della vita che si scontra con la sua brutale pragmaticità. Entrambi si ritrovano in un vagare che pare insensato, in un processo di (ri)educazione grazie al quale forse capiranno per la prima volta chi sono davvero.

tunue

trebisonda dog

  • Siamo all’ultimo autore che ho avuto l’onore di ascoltare, e forse a quello che più è riuscito in assoluto ad emozionarmi: Antoine Volodine. Volodine, scrittore francese d’origini russe, è uno degli autori più inclassificabili della letteratura contemporanea. Prima di tutto, Volodine è uno pseudonimo di un uomo il cui nome resta segreto, e neppure l’unico: come un novello Pessoa, scrive sotto i nomi (definiti proprio eteronomi) di Elli Kronauer, Manuela Draeger e Lutz Bassmann. Tutti questi autori fanno parte di una corrente letteraria denominata post-esotismo. A costo di sembrare frivola, non posso che sottolineare che – ne sono fermamente convinta – chiunque si ritrovi ad ascoltare Volodine sia costretto a innamorarsene. Sembra uscito fuori da un altro mondo, con la sua strana e rozza eleganza, i suoi occhi chiari e la sua voce delicatissima. Dà senza pensarci due volte risposte complesse, rivoluzionarie e impreviste, con una precisione inconcepibile (risposte che tocca ad Anna D’Elia tradurre in italiano, come già ha tradotto i suoi libri, un’impresa che si porta dietro una sorta di scia epica per cui chiunque dovrebbe ammirare il suo lavoro). Tutto il suo mondo, spiegato da lui, si fa chiaro e intuibile. Volodine è un autore che tende al minimalismo, eppure ha lottato per anni per non essere definito soltanto un minimalista. Come, prima ancora, ha faticato per non essere incasellato negli autori di fantascienza. È stato costretto a fondare una nuova corrente per far sì che i critici non decidessero al posto suo di quale categoria dovesse, a rotazione, far parte. Il post-esotismo è fatto di libri che danno voce ai prigionieri, nel senso più ampio del termine. Sconfitti e condannati, i suoi sono personaggi che degenerano, voci che si fanno animali, intimiste, sincere, metafisiche.

    – Come funzionano lo spazio e il tempo nell’universo post-esotico?

    – Male.

E parte un applauso collettivo. Il fatto è che lo spazio e il tempo dei mondi di Volodine è quello di un limbo, una realtà (si fa per dire) che esiste nel non-tempo e nel non-spazio, come se si fosse sempre fermi in quel momento che per i buddhisti dura quarantanove giorni e sta a metà tra la fine della vita e la prossima reincarnazione (il Bardo narrato anche da Saunders nel suo ultimo romanzo). Tutte le sue parole sono collegate in una struttura immane iniziata a concepire molto presto, ben prima della sua pubblicazione avvenuta in Francia a trentacinque anni. Il mondo di Volodine è letteralmente plasmato dai personaggi: dai loro sogni, dai loro ricordi, dalle loro visioni. Sono sconfitti, ma continuano a credere nella loro rivoluzione fallita. Come tutti noi. Con l’umorismo nero e bruciante che lo contraddistingue, Volodine conclude: “Stiamo andando verso l’estinzione. Non so dirvi quando, ma vedrete.

Si resterebbe ad ascoltare Volodine per ore e ore, semplicemente. Forse pure lui è venuto dal suo universo post-esotico, e riesce in qualche modo ad annullare spazio e tempo.

volodine

DA TENERE D’OCCHIO

Altri tre consigli, tra case editrici di piccola e media grandezza.

Andiamo con ordine.

  • ELARA

Mi imbatto in quelli di Elara già la mattina, sul tram che mi porterà al Salone, e una volta arrivata decido di passare a trovarli allo stand per conoscere meglio le loro proposte editoriali. A incuriosirmi è soprattutto un volume di poesie, che inaugura una nuova collana, dal titolo Il mercatino dei sogni – Canti di mezzanotte e ballate sottovoce, presentato proprio in occasione del Salone del Libro. Il volume porta il nome di Michael Ende, autore noto soprattutto per La storia infinita e Momo, grandiose opere del genere fantastico spesso ancora sottovalutate. Ende però ha anche un passato da teatrante e da amante del circo, motivo per cui le sue poesie somigliano a quelle di un saltimbanco (del resto non va dimenticata una delle sue opere teatrali intitolata proprio La favola dei saltimbanchi). La volontà di Elara è quella di portare in Italia altri volumi di Ende da noi ancora inediti, prospettiva che mi rende estremamente curiosa e particolarmente felice.

Ma nel loro catalogo sono anche presenti grandi classici come City di Clifford D. Simak, o libri meravigliosi come Lo scriba macabro di Thomas Ligotti, ormai riconosciuto come uno dei più grandi autori horror contemporanei, erede di Poe, o La città dei santi e dei folli di Jeff VanderMeer, forse la vetta dell’autore, romanzo sperimentale dalla grafica curatissima, un’esperienza di lettura che si traduce in uno dei capolavori della letteratura fantastica moderna.

Tra horror, fantastico e fantascienza, Elara è una realtà editoriale che va assolutamente approfondita.

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  • NN EDITORE

Diciamolo: NNE sa come farsi notare. A livello grafico, i loro sono tra i migliori libri che abbia mai visto. Inoltre, sono sempre immediatamente riconoscibili, con l’imponente N maiuscola che si trova su ogni copertina. In pochi anni sono riusciti a creare una linea editoriale chiara e interessante. Una casa laboratorio di scrittura, lettura e confronto. Si deve a loro la pubblicazione di Kent Haruf, uno dei casi editoriali più fortunati degli ultimi tempi. Ma non solo. Jesmyn Ward, Megan Mayhew Bergman, Sarah Manguso sono soltanto alcuni dei validi autori che fanno capolino dal catalogo. Che si tratti di volumi di narrativa o di raccolte di racconti, NNE fa sempre centro e dimostra di saper valutare in modo eccelso che cosa proporre al pubblico che, per forza di cose, si affeziona e si fida a occhi chiusi delle loro scelte. E anch’io rientro tra quelli che davanti a un volume della NNE non ci pensano due volte.

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  • L’ORMA

A loro va il mio personale e appena inventato premio 2018 “stand così gentile da metterti in imbarazzo”. Davvero, se si va a chiacchierare un po’ con quelli de L’orma non si può che restare commossi da quanto siano cordiali, puntuali nel consigliare romanzi, nel dialogare e ascoltare i lettori. Specializzati in autori francesi e tedeschi, dal 2012 tentano di raccontare l’Europa che siamo e che saremo. E, in effetti, non esiste metodo migliore che quello di pubblicare autori del valore di Annie Ernaux, Julien Gracq, David Bosc, Antoine Volodine (come ringraziare abbastanza un editore per aver tradotto e portato in Italia Angeli Minori?). Sono una loro idea anche i Pacchetti che ultimamente affollano le librerie: economici ed esteticamente splendidi, contengono gli scambi epistolari di alcuni tra i massimi pensatori e scrittori di tutti i tempi (tra le ultime lettere pubblicate ci sono ad esempio quelle inedite di H.P. Lovecraft).

l'orma

CONCLUSIONE

Scrivere questo articolo è stato difficile. Soprattutto per la lunga e personale riflessione sul come avrei dovuto scriverlo. Sono fermamente convinta, e i fatti lo confermato, che il Salone Internazionale del Libro di Torino sia diverso per ogni persona. Questo è stato il mio, e non potrei esserne più felice.

È stato pieno di persone meravigliose, di editori appassionati al proprio lavoro, di partecipazione a un mondo che dimostra di essere ancora vivo. Di saper resistere.

E, da lettrice, una simile certezza non può che commuovermi  e farmi sentire meno sola.

Grazie a chi ha letto le tre parti di queste (Cosmi)Cronache, seguendomi fino a qui.

E al prossimo Salone.

 

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