Quotidiana.com: è un sistema feudale oligarchico non una dittatura!

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Quotidiana.com è una compagnia riminese fondata nel 2003 da Roberto Scappin e Paola Vannoni.  Due contrari che si fondono in un teatro impetuoso, provocatorio, che mira a mettere in evidenza lo sgomento dell’esistenza, che viene raccontata senza filtri, con un linguaggio essenziale, esattamente per quella che è: spenta e senza interessi.

Tra i lavori della compagnia ricordiamo:

  • La Trilogia dell’Inesistente: Tragedia del tutto esteriore, vincitore del premio Stefano Casagrande – Loro del Reno 2008 Teatri di vita, Sembra ma non soffro, una produzione di Kilowatt Festival e Gratta e vinci
  • Tutto bene quel che finisce, tre capitoli per una buona morte: L’anarchico non è fotogenico, Io muoio e tu mangi, Lei è Gesù.

 

Se volessimo cominciare un’analisi della situazione di crisi culturale del teatro italiano, da quali segnali dovremmo partire? Secondo te/voi, la crisi del teatro potrebbe essere la diretta conseguenza di una crisi generazionale, d’identità e di opportunità? Quali sono i tempi e modi del suo sviluppo?

Se parliamo di crisi della creazione di opere incisive, icastiche, non possiamo che far riferimento alla tanto citata e oggettiva società dei consumi teorizzata da importanti intellettuali della seconda metà del secolo appena trascorso. Un mondo influenzato dalla pubblicità e dal desiderio di possedere ottunde, limita e annichilisce lo slancio rivoluzionario, la visionarietà fertile. Forse oggi l’artista non è incline alla messa in crisi della sua mission; dall’inquietudine, dallo smarrimento, dal malessere si possono generare processi estetici, linguistici e politici innovativi. Una società davvero destabilizzata da un regime meno subdolo potrebbe creare una nuova ondata di scritture e opere potenti. La “crisi” attuale, che pure esiste e che viviamo, l’affrontiamo consolandoci con le nuove tecnologie, con le app, con l’efficace e omeopatica cura digitale.

Si può affermare che la crisi del teatro possa dipendere anche da una mancanza di idee teatrali forti?

Si, certo si può fare questa affermazione. Ma io credo che il vero problema del sistema-teatro sia la sua pervicace e perniciosa immobilità, il suo arroccamento in posizioni retrive, prono alla tradizione e a schemi stantii: l’imperativo degli amministratori è quello di non perdere abbonati, di mantenere l’impresa e i redditi dei dipendenti, di non scontentare il pubblico e quindi esclusivamente guardare ai personaggini televisivi che possono garantire l’affluenza del pubblico, ma di fatto impedendo un vero processo innovativo e rigenerativo. L’idea forte sarebbe quella di spazzar via i cda, i dipendenti amministrativi in eccesso e consegnare i teatri ai teatranti.

Qual è la funzione sociale del teatro oggi? Quali necessità soddisfa?

La funzione del teatro è quella di dare al cittadino un’opportunità di incontro, di pensiero e di approfondimento. L’essere umano ha necessità del racconto, ha bisogno di conoscenza, esige il “porsi domande” e ha il dovere di mettersi in crisi, perché è in questo particolare stato che l’uomo ne può uscire eticamente rafforzato. Il teatro è comunione tra sconosciuti è un trasumanare, un tentativo di superare i limiti, un’esperienza spiritualmente laica, politica.

Si può credere a un rinnovamento del teatro o siamo in attesa di un modello culturale che possa scuotere le coscienze?

Non si può credere oggi a un rinnovamento del teatro a meno che non siano gli artisti stessi a chiederlo a gran voce, cose di cui, purtroppo, dubito fortemente.

Lo Stato sostiene il teatro in Italia? Se sì, ne beneficiano tutti?

Certo, lo Stato sostiene il teatro con il FUS (fondo unico per lo spettacolo), anche le Regioni e i Comuni lo sostengono. Ma, ovviamente, non ne beneficiano tutti.

Le due misure più estreme ed urgenti da mettere in atto, secondo te/voi.

La misura estrema da mettere in atto è l’insurrezione, cosa impossibile in questa nostra bella Italia. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello.”

Ha ancora senso mettere in scena i classici? O andrebbero “tolti di scena”? Quanto influisce la scelta politica di un direttore artistico?

Il classico è imprescindibile, rassicura, è il pifferaio per geriatrici in abbonamento. Non andrebbero per forza espulsi dalla scena, ma andrebbero compiute su di loro operazioni che pochissimi registi oggi in Italia sono in grado di proporre (e quando questi registi sono chiamati a tali operazioni il risultato che ottengono è sconcerto e indignazione) cosicché i classici vengono messi in scena da registi prudenti e asserviti, che non rischiano operazioni radicali o iconoclastiche per non garantirsi un eventuale e bieco ostracismo. E il teatro, come affermavo precedentemente, rimane paralizzato in forme e linguaggi retrogradi antiquati. Il campo di azione politico in termini di innovazione di un direttore artistico è limitatissimo, deve sottostare alle dinamiche finanziarie della struttura di cui è a capo.

Si può parlare di “dittatura teatrale” nel mondo delle arti in scena? Se sì, perché?

Se intendiamo con il termine dittatura un ordinamento autoritario in cui una sola persona, o un collegio di più persone, accentra in se tutti i poteri e impone le proprie idee e i propri interessi, si, possiamo tranquillamente parlare di “dittatura teatrale”. O possiamo meglio definirlo: sistema feudale oligarchico.

È possibile un “teatro della crisi” in cui artisti, spettatori e critica trovino un punto in comune?

Non è possibile, oggi, un “teatro della crisi” tutti i teatranti sono molto occupati dal rincorrere affannosamente il vitalizio di Stato. I critici a garantirsi una difficilissima sopravvivenza.

Quant’è importante lo spettatore a teatro? Quanto è necessario investire nella formazione di un pubblico consapevole?

Lo spettatore è indispensabile. Investire in opere innovative e coraggiose sarebbe la migliore azione da attuare per avere in futuro un pubblico più consapevole.

Prima di salutarvi, ringraziandovi per la collaborazione, vi chiediamo un’ultima riflessione: qual è la tua/vostra missione teatrale? Come immaginate la situazione culturale e teatrale italiana nei prossimi cinque anni?

La nostra missione è quella di demistificare, è il tentativo di un “grado zero”, della distanza dalle finzioni superficiali, commerciali e decadenti. E’ guardare il presente con ironico e tenero disincanto non privo di una rabbia, nostra affettuosa sorella. Nei prossimi cinque anni i cambiamenti saranno risibili, purtroppo irrilevanti.

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