Prigioniero della paura

Fear Strikes Out

USA, 1957

Cast: Anthony Perkins, Karl Malden, Norma Moore, Perry Wilson, Adam Williams

Durata: 1 h e 40 min.

Prigioniero della paura (Fear strikes out) è il lungometraggio d’esordio di Robert Mulligan, regista dell’indimenticabile Il buio oltre la siepe (1962) e storico braccio destro del produttore Alan J. Pakula.

I film sportivi di Hollywood si sono quasi sempre focalizzati sulla fatica e la determinazione che contraddistinguono l’American Dream. Storie individuali tormentate che partono spesso dalla strada per arrivare sotto i riflettori dei grandi stadi o dei ring famosi.

Mulligan celebrò su pellicola con questo sport film la storia del grande Jimmy Piersall, centrattacco della Major Baseball League degli anni cinquanta. A differenza della gran parte del cinema di genere, però, la storia di Piersall presentava il ruvido retroscena di un disagio psichico certificato, frutto del condizionamento eccessivo di un padre ingombrante e ambizioso, dal quale il protagonista non si separa mai del tutto. Rimane quindi del tutto assente il principio dell’auto determinazione, ingrediente fondamentale per l’eroismo sportivo, non c’è mai un vero distacco fino al crollo e al ricovero. Una storia spigolosa, cupamente vera, resa incredibilmente efficace dalla coppia dei protagonisti.

Karl Malden è il padre di Jimmy, figura assolutamente non grossolana o stereotipica. Non abbiamo la facile versione del padre-padrone, violento dalla cinghia facile; Malden è un genitore iper presente, inflessibile ma con tratti occasionali di dolcezza, un uomo che non riesce mai a rendersi conto della eccessiva pressione psicologica che esercita sul figlio. Alla sua ombra si muove silenziosa la moglie Perry Wilson, madre sfuggente, imperscrutabile, donna totalmente schiacciata dall’esuberanza del marito.

Jimmy Piersall ha il bellissimo, dolce volto giovanile di Anthony Perkins, un attore a cui i ruoli disturbati si attagliano alla perfezione. La micro mimica di questo attore è un impressionante capolavoro di realismo. Non si ha mai l’impressione di assistere ad una recitazione, Perkins sembra l’essenza dell’interpretazione stanislavskijana: le fessure dei suoi occhi sembrano finestre su un mondo in subbuglio, oblò di una fornace, non ostenta mai i fastidiosi topoi del ruolo (tremori, occhi sgranati, dondolii della testa etc) perché tutto sembra uscirgli in modo del tutto naturale. Accanto a lui un’altra presenza femminile di timida personalità, Norma Moore, moglie che vorrebbe essere sostegno ma è fragile preda degli eventi.

La parte meramente sportiva del film risulta poco interessante e secondaria. Per chi non conosce il baseball non è affatto immediato capire ruoli e movimenti sul “diamante”; tuttavia sembra chiaro che a Mulligan interessi molto poco l’aspetto agonistico. Oltre alle relazioni tra i protagonisti, in primis quella tra padre e figlio, è curata molto bene la parte del ricovero ospedaliero, in cui l’ottimo Adam Williams incarna uno psichiatra dall’umana deontologia molto lontana dal logoro modello manicomiale stile dottor Caligari, e dove Perkins tira fuori tutta la sua strepitosa dote scenica.

Di Robert Mulligan non si può davvero mancare la visione dal sopra citato Il buio oltre la siepe, con il miglior Gregory Peck di sempre e una gustosissima misteriosa atmosfera ‘southern’. Tra gli altri titoli, citerei almeno La notte dell’agguato, un western-thriller originale, molto interessante, che mette al centro la follia persecutoria di un padre pellerossa a cui viene portato via il figlio.

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