Micah P. Hinson o il senso di pietà nei confronti dell’artista

micah p hinson

Prendo in prestito un’osservazione intelligente fatta da un ragazzo all’uscita del concerto napoletano di Micah P. Hinson all’Hart per parlare non solo di un concerto ma di un atteggiamento, ormai diffusissimo in tutta la penisola italica, di assoluto menefreghismo del pubblico nei confronti della figura dell’artista, che spinge noi pochi superstiti di una società pre-moderna ad un atteggiamento di pietà verso di lui. Non c’è una differenza sostanziale tra diversi tipi di menefreghismo, sia che si tratti del ragazzo che sfodera lo smartphone per riprendere un live o del chiacchiericcio indistinto che si mescola all’intimate show di Micah di ieri sera. Se parliamo, poi, dell’orario d’inizio dei concerti napoletani nei club, la questione si fa più ardua e spinosa. Insomma, è lodevole l’iniziativa di Neo di organizzare ogni sabato un appuntamento fisso con la musica dal vivo, soprattutto in una città respingente come Napoli, ma bisogna fare i conti con delle abitudini radicate che, inevitabilmente, comportano delle conseguenze.

Il cantautore di Memphis Micah P. Hinson sale sul palco, illuminato da due luci blu neomelodiche, qualche minuto prima della mezzanotte, cosa che lo indispettisce. Comincia a snocciolare, senza voglia, una serie di canzoni dall’ultimo disco senza rivolgere nemmeno una parola al pubblico così suddiviso: 30% sui divanetti, posti ai lati della sala, attenti e in religioso silenzio, un 20% sotto al palco, più brioso, e un 50% completamente disinteressato suddiviso strategicamente in varie parti della sala. Talvolta si raggiungono picchi di silenzio, rotti, però, dal barman, che pure deve fare il suo mestiere e pure deve rompere, tutte le volte, il ghiaccio per foderare i cocktail di noi astanti. Il bar è posto in fondo alla sala.

Dopo She don’t own me, all’ennesimo brusio, Micah interrompe il concerto chiedendo più rispetto per il lungo viaggio intrapreso pur di essere a Napoli. Promette ancora una manciata di canzoni implorando attenzione. Una parte del pubblico è con lui ma – si avverte – non si è creato quel feeling necessario per godere pienamente del suo concerto intimo e dolce. Va via, non fa bis e inizia subito il suo dj set Mr Ror. Peccato.

Bella, invece, l’apertura di Old Fashioned Lover Boy, napoletano ma, ormai, di stanza a Milano, che ha offerto un set convincente dove ha sfoggiato la sua scrittura forte e matura, che utilizza melodie folk e alternative country, senza mai essere troppo derivativo.

Uno studio australiano dimostra che andare ai concerti rende felici perché la parte più importante dell’esperienza sarebbe l’elemento di comunità, per cui tu provi gioia nel mezzo di una folla di persone che provano gioia, essenzialmente toccando con mano la parte migliore dell’essere umani. Ieri io e chissà quante altre persone siamo stati in mezzo a persone che parlavano ad alta voce e ridevano, fottendosene del concerto, essenzialmente toccando con mano la parte migliore della nostra generazione da streaming.

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