Me and You and Everyone We Know: trama e recensione del film

Un pesciolino rosso nella sua acqua circondata di plastica è stato dimenticato sul tetto di un’automobile. Potrebbe resistere a seconda delle velocità stradali, una frenata sarebbe letale, perché precipiterebbe a terra finendo schiacciato dalle auto in corsa. In equilibrio precario, come tutti i personaggi “singolari” di Miranda July. Compresa lei stessa, impegnata come attrice nel personaggio di Christine. Il racconto minimalista, indipendente (parola che non vuol dir niente), è un diario biografico, registro penetrante di percezioni, “meraviglioso mondo di Amélie”. E davvero nel cinema è dimostrabile e dimostrato che è sufficiente modificare le modalità dello sguardo per squarciare nuovi territori dell’immaginario, superare l’ordinario, la quotidianità, per sintonizzarsi sullo straordinario, su elementi già noti, ma che possono essere, visti in modo diverso, rivelatori, probanti di una realtà più complessa, non prevedibile o standardizzabile. La mdp di molte cineaste sceglie questo tragitto sulla propria pelle, senza ammiccamenti, ghirigori inutili, quadrando solo lo spazio di una concreta esperienza e di fatti vissuti e rappresentati nelle forme più varie, ma spesso con il ricorrente gusto della calma, della gentilezza o del pudore (la scena del pompino è esemplare per il suo inaspettato candore). Certo rischiando, perché al di là di forme consuete, non sempre è possibile intravedere l’orizzonte di un cinema puro. E, in effetti, il maggior difetto di July sembra proprio quello di credere più alla verità dei fatti (narrati) che alla unica virtù delle immagini. Allora dovremmo definire “indipendente” lo sguardo di Miranda July, laddove l’occhio con la sua esclusiva soggettiva costruisce una visione intima (e femminile, la parola forse ha un senso) del mondo. Che poi si possa esser d’accordo con tale visione “cinematografica” è tutta un’altra faccenda. Miranda July unifica perfettamente i sentimenti e le emozioni e ne fa un discorso meticoloso di visione. Una visione che è sempre possibilità di vita e morte come la gag del pesce rosso. Ma anche nella gag c’è tutto il terribile dolore, per la sofferenza di qualsiasi creatura. I bambini in particolare, sono nella medesima situazione del pesce, perché sono incapaci di scegliere il loro futuro attraverso il presente, ma solo di immaginare azioni e reazioni (il copia e incolla in chat). Nella sessualità immaginata dalle due impazienti ragazzine, la corporalità diventa un fatto banale dell’esperienza, oppure il suo opposto estremo e disperato in Richard, che ha scelto la distanza fisica come cautela, salvaguardia dell’anima.

Il cinema di July scorre su queste continue aperture, che possono diventare lacerazioni più profonde. Su accostamenti ed opposti allontanamenti. Così come è simulato dalle due scarpe “me” and “you”: due margini che s’affrontano come calamite, possono attrarsi o respingersi, in un gioco sottilissimo ed incerto. Con estrema tenerezza il cinema di Miranda July analizza, considera, guarda, annusa, sente la serie di anime in moto. Dove l’età, diversa, dei vari personaggi, è un termometro attendibile delle varie sensibilità, anche se in alcuni casi l’imprevedibilità è dietro l’angolo, come la ragazzina che prepara il corredo.
La bellezza di questo cinema è anche il suo limite. Perché il cinema di July è una versione edulcorata della crudeltà significante di Todd Solondz. Qui non si consumano i “delitti” di Happiness, ma proprio il senso della felicità, più che nelle varie versioni new age considerate di recente al cinema, è collegato a precise situazioni esistenziali, che sono la risultante fedele degli elementi messi in scena. Così la ritrosia e timidezza di Richard o l’apparente sfacciataggine delle adolescenti, che sono rispettivamente l’afasia guardinga dopo una delusione d’amore e tutta la voglia d’esperienza intorno all’idea fissa di perdita della verginità come raggiungimento della maturità sessuale. Il cinema di July non cerca mai di trascendere i fatti concreti della messa in scena con segni alieni (tipo la pioggia di rane di Magnolia o la mdp zenitale nel Crash di Paul Haggis). Un esempio è il rumore della chiave causato dal tic di un passante. Solo un segno possibile, che potrebbe aprirsi verso mille direzioni ed una spiegazione semplice, la più pertinente e terrena. Il cinema di July è fatto di spiritualità carnale, di voci autentiche che si sovrappongono costituendo una convincente autorappresentazione del nostro mondo, somma di solitudini, folle ma vero.

Articolo di Andrea Caramanna (reVision)

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