Materiali per una tragedia tedesca, la riedizione del testo di Tarantino

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Antonio Tarantino è un drammaturgo atipico, un autore dalla tecnica espressiva inconsueta e il suo Materiali per una tragedia tedesca, messo in scena recentemente da Fabrizio Arcuri, ne è una chiara testimonianza.

Leggere un suo testo è un’esperienza che minaccia le certezze di un lettore classico, con quel suo linguaggio che tracima libertà creativa ma che crea anche una frattura da cui fuoriescono verità incandescenti. Non lasciatevi fuorviare dalla lettura degli eventi attraverso la lente del grottesco e del cinismo perché lì risiede l’inganno di Tarantino. Arcuri, intelligentemente, ha messo in scena i Materiali in sei puntate, in modo da non far perdere niente del testo e del suo mondo stratificato.

Non serve a nulla indicare una trama esemplificativa per invogliare un potenziale lettore ad approcciare questo volume quanto piuttosto è utile illustrare il viaggio che si potrebbe intraprendere, inteso come attraversamento del pensiero estremo del suo autore. Tarantino, difatti, richiede, come è stato più volte detto e scritto, “capacità di penetrazione” e, in questo caso, riflette sulla storia della nostra cara e vecchia Europa partendo da quelle tracce che gli eventi storici hanno lasciato sulla nostra pelle. Nonostante Materiali per una tragedia tedesca abbia vinto il Premio Riccione nel 1997, è possibile riscontrare le forme di estraneità che stiamo vivendo in questi giorni, dominati dalla paura di essere colpiti dal terrorismo e da uno stato di guerra a noi sconosciuto. Qui sta la forza di un testo potente e senza tempo, nonostante la sua precisa collocazione storica.

La storia è ambientata in Germania nel 1977 e parla della banda Baader-Meinhof che, in quegli anni, organizzava attentati, rapimenti e dirottamenti di aerei per condurre una resistenza armata anti-imperialista. Il testo di Tarantino si concentra principalmente sul sequestro Schleyer, presidente della Confindustria tedesca ed ex membro del Partito Nazista. Un evento che unisce, però, l’Italia alla Germania, grazie all’analogia col caso Moro, e che permette all’autore, come suggerisce Arcuri nella prefazione, di raccontare, con sguardo lucido, la nostra storia senza finire nel “chiacchiericcio revisionista”.

Le lenti di lettura, che ci fornisce Tarantino, non deformano la storia ma amplificano la portata di ogni singolo evento con un percorso ad ostacoli fitto di personaggi, avvenimenti, battute al fulmicotone. Non è semplice destreggiarsi nella farsa apocalittica offerta dal drammaturgo perché sa mescolare classico e moderno, tradizione e innovazione, Gramsci con Shakespeare senza rinunciare all’essenza basica del docu-fiction. Lo scrittore si fa attentatore, terrorista della scrittura teatrale per arrivare ai paradossi più estremi, quasi ai limiti del buon gusto. Eppure Tarantino è sempre opportuno, è il narratore abile che rinsalda la nostra umanità, dopo averla sezionata a fondo, racconta il male del presente e un universo in cui convivono forze contrapposte. La sua scrittura inganna, perché ardita e coraggiosa, e diventa teatrale solo per un’esigenza drammaturgica, per preferire un racconto plurale necessario a descrivere e raccontare il Potere ponendogli di fronte le sue responsabilità.

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