Macbeth, tirannia e brama all’ombra della guerra civile congolese

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Macbeth nella realizzazione di Brett Bailey, in scena al Teatro Politeama di Napoli il 24 e il 25 giugno 2016 per il Napoli Teatro Festival, è un racconto in cui dolore ed ironia si mescolano per raccontare la ferocia delle milizie tribali a Goma, remota regione del Congo al confine tra Uganda e Ruanda. L’autore parte dall’opera di Giuseppe Verdi le cui melodie, arrangiate da Fabrizio Cassol con la No Borders Orchestra, si arricchiscono delle sonorità e degli accenti provenienti dal cuore dell’Africa, che sottilmente accompagnano l’imponente dramma.

Non è la prima volta che Bailey propone questo tipo di contestualizzazioni per le sue rappresentazioni. Macbeth è la terza tappa di un processo, iniziato nel 2003 con Medea e continuato nel 2006 con Orfeo. Un ciclo di realizzazioni nel cuore del contesto africano da cui è rimasto affascinato per la capacità di purificazione del mito di queste terre, che riescono a fare proprie religioni, storie e mode, modificandole e preparandole per nuovi utilizzi.

Una storia di potere e di ambizione in cui arrivismo politico e soprannaturale si mescolano nella patria oppressa, che diventa il filo conduttore nella lettura dell’opera, in cui il confine tra realtà oggettiva, quindi verificabile, e soggettività, quindi immaginazione, è quasi del tutto irrilevante. Un telaio che procede per blocchi chiusi, come dei tableux vivants, che segnano l’azione, scenica e musicale. Ma anche il passaggio di consegne tra il dramma e le immagini proiettate sul telo posteriore, richiamo costante all’elemento reale, che raccontano i passaggi fondamentali della guerra che da venti anni accende la Repubblica Democratica del Congo con i suoi quasi 6 milioni di morti invisibili, più di qualsiasi altro conflitto dopo la seconda guerra mondiale, di cui quasi nessuno sa nulla.

La patria, dunque, al centro dell’opera. Madre Patria, per i tuoi figli sei una fossa. Una fossa preda di interessi molteplici: interni, sotto assedio costante da parte delle guerriglie dei signori della guerra; esterni, al centro dell’attenzione delle multinazionali per la ricchezza insita nelle sue terre che lo rendono al contempo il paese più ricco e più povero del mondo. Le tre streghe, le Norne dell’opera shakespeariana, sono proprio le multinazionali, vestite in giacca a cravatta, elmetto che cinge il capo, colpevoli di aver infettato il territorio africano con la brama di potere e di denaro. Saranno proprio loro a pronunciare le tre profezie al protagonista, il cui prezzo sarà il sangue e l’assoggettamento al dio denaro.

Una triade, quella delle streghe, che riprende l’organizzazione dell’impianto scenico che accoglie il pubblico in sala già esposto: una linea narrativa definita che procede da sinistra verso destra con il coro, immobile ed impassibile, il centro dominato da un palco tagliato da metallo e fasci di luce e sul finire l’orchestra. Dopo l’ingresso delle streghe, la dissoluzione del coro, da cui prendono prendono vita i protagonisti dell’opera. Un cerchio che nasce e si chiude con esso. Inizialmente fermo, immobile, si disgrega, prende vita e nel finale si richiude nell’impassibile immobilità.

La scalata al potere, cieca e funesta, inizia con la vestizione di Macbeth (Owen Metsileng) ad opera di Lady Macbeth (Nobulumko Mngxekeza) che segna il passaggio non solo verso una nuova era di potere ed infamia ma anche il passaggio all’età adulta del futuro, annunciato re. Lady Macbeth cinge il capo del suo consorte con una corona di pelle raffigurante un pugno chiuso, vestendolo di abiti tirati fuori da shopper di Prada e Harrods. Non è una semplice vestizione. L’incoronazione è un patto di sangue, sarà lei a tessere la trama della sua ascesa politica e sociale giostrando la vita di questo marito irresoluto e capriccioso, le cui mani, in forza della legge della giungla, lasceranno che il buio divori la luce. Giorno di fuoco e di pianto. Sono qui disteso, ho creduto ai demoni, ed eccomi qui. Troppo sangue versato, troppa sofferenza.

Interessante notare che in questo adattamento la scalata al potere avviene dal basso: Macbeth di Shakespeare è un nobile, qui invece Lady Macbeth viene presentata al pubblico in una lavanderia mentre si accingere a lavare a mano dei vestiti. In questo frangente riceve un sms del marito che le annuncia la profezia e, nella scena successiva, sono già sdraiati comodamente su un divano nelle loro maculate e costose vesti.

Canti ammiccanti, suoni tribali, la ferocia dei machete e delle divise militari tengono assieme le quasi di due ore di spettacolo di questo singolare Macbeth africano, la cui voce, attraverso quella dei protagonisti in scena, è forte e potente come sono quella proveniente dal cuore dell’Africa può essere: piena, calda, dirompente, così carica da assorbire e ogni alito di vento. Talvolta pronta ad accogliere pronti sorrisi, talvolta lo sdegno dello spettatore, complice silenzioso della guerra invisibile.

Il coro apre e chiude la rappresentazione. Da esso si levano i futuri regnanti e ad esso ritornano quando ormai il sangue scorre inarrestabile nella ricca e prolifica terra congolese, sotto le immagini strazianti della lunga guerra che si chiudono con gli occhi neri e vitrei di un adolescente congolese. Un richiamo tra immaginario e reale che caratterizza tutta la rappresentazione in costante dialogo tra voci, suoni ed immagini. Tale tessuto da un lato ha il pregio di veicolare l’idea di spettacolo così come concepita dal regista dall’altro, alla lunga, può deviare l’attenzione dello spettatore, già emotivamente carico tra l’ascolto del libretto di Francesco Maria Piave e la lettura dei sovratitoli, in italiano ed in inglese, che non disdegnano la traduzione gergale e meno letterale.

Un lavoro importante, notoriamente drammatico, che affida questa componente più alle immagini che all’azione e all’interpretazione. Una lettura nuova, soprattutto nel finale, che può essere molto amata o molto vessata.

Info

Macbeth

IDEAZIONE E REGIA BRETT BAILEY
MUSICHE FABRIZIO CASSOL
DAL MACBETH DI GIUSEPPE VERDI
DIREZIONE MUSICALE PREMIL PETROVIC
CON DIECICANTANTI D’OPERA SUDAFRICANI
E LA NO BORDERS ORCHESTRA
COREOGRAFIE NATHALIE FISHER
LUCI DESIGN FELICE ROSS
PRODUZIONE THIRD WORLD BUNFIGHT
IN COPRODUZIONE CON KUNSTENFESTIVALDESARTS, KVS, THEATERFORMEN (BRAUNSCHWEIG), THE BARBICAN (LONDON), WIENER FESTWOCHEN, LA FERME DU BUISSON/FESTIVAL D’AUTOMNE À PARIS

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