Love Actually – L’amore davvero: recensione del film simbolo del Duemila

Uno sceneggiatore, Richard Curtis, che ha avuto la ventura di firmare tre delle commedie romantiche inglesi più riuscite del decennio (Quattro Matrimoni e Un FuneraleNotting Hill e Il Diario di Bridget Jones), un cast di attori d’oltremanica capace di fare invidia al più fulgido firmamento hollywoodiano, una colonna sonora emozionante e zuccherosa che non degrada mai a melassa alcolica e l’atmosfera calda del Natale sono gli ingredienti che fanno di Love Actually uno dei più grandi successi cinematografici della stagione.
I protagonisti delle favole metropolitane dipinte con grazia da Curtis attualizzano e conferiscono dignità di indagine sociologica al romanzo d’amore, trasfigurando la follia del sentimento in un turbine che tutto consente e giustifica, in una sorta di ubriacatura che rende lecito ciò che la ragione non comprende né accetta: i sentimenti diventano lo strumento attraverso cui traghettare le proprie azioni verso l’oggetto del desiderio e la realtà si riduce a mero specchio dell’immaginazione.
Tema di fondo (l’amore, ebbene sì!) e variazioni sul tema (humor, paradosso, sarcasmo); stereotipi (lo sfigato, la femme fatale, la rock star arrogante) e flash di originalità (l’occhio dissacrante che riprende il tutto con somma ironia); tante storie apparentemente scollegate che invece un vincolo di parentela o conoscenza tra i personaggi unisce inaspettatamente… Questo e molto più è il cocktail servito dalla prima regia di Richard Curtis che agita insieme gli elementi del Natale e della dirompenza dell’amore riconducendoli a binomio che, pur furbetto e abusato, tuttavia sembra non stancare mai soprattutto se, come nel presente caso, viene condito con acume e intelligenza.

La culla dell’amore è Londra, una città in cui il romanticismo sembra fiorire, protetto e coccolato dalla nebbia che attutisce la volgarità della vita reale. I personaggi sono i tipi fisici e psicologici del caso: c’è il ragazzino al primo amore, la moglie insicura, il fedifrago pentito, la bella, l’imbranato e la timida fino alla patologia. Tutti, pur differenti, pur lontani, vasi non comunicanti pieni della sostanza fluida dei desideri, non chiedono, non vedono, non aspettano che amore.
Una favola buonista costruita sui dialoghi e sulla bravura dei suoi interpreti su cui spiccano le eccellenti Emma Thompson, Laura Linney e Keira Knightley oltre all’intenso Liam Neeson e ai collaudatissimi Colin Firth (già protagonista de Il Diario di Bridget Jones) e Hugh Grant, attore feticcio di Curtis nonché volto simbolo dei suoi tre precedenti successi, quasi perseguitato dal regista che qui lo ha voluto nei panni di un Primo Ministro innamorato e ballerino capace, per sentimento, di raffreddare i rapporti diplomatici con gli Usa.

Naturalmente alcune storie sono più riuscite di altre: ottima è quella che racconta il rapporto tra Colin Firth e la sua governante portoghese, unica donna capace di risollevarlo dalla scoperta del tradimento della moglie, come quella dell’amore impossibile di Andrew Lincoln per la moglie del suo migliore amico; intrigante quella del Primo Ministro Hugh Grant alle prese col camaleontico Billy Bob Thronton, Presidente Usa dalle mani tentacolari; commovente l’impossibilità di amare di Laura Linnley, bloccata dalla sua timidezza e dall’ostacolo di una vita familiare compromessa; disarmante, infine, quella sull’incomunicabilità tra Liam Neeson ed il suo figliastro, presi ciascuno dalla propria interpretazione di realtà e sentimento.
La scelta del regista è celebrare, una volta tanto, il buono che c’è in ognuno di noi e, allora, ben venga un prodotto che, accanto al sorriso, suscita la lacrima in un panorama cinematografico urlato e splatter in cui più della delicatezza e la qualità della pellicola conta il battage pubblicitario e l’etichetta “cult”.
Paradigmatico della semplicità della costruzione, l’incontro finale all’aeroporto in cui le varie situazioni intrecciate trovano un nuovo equilibrio, cristallizzato nella conclusione della corsa verso l’aereo che porterà via al più giovane dei protagonisti il primo amore, quello più autentico e sincero, forse l’unico destinato a durare per sempre perché incompiuto, sospeso, ibernato al “tempo del vino e delle rose”, preludio al lieto fine. Il tutto è accompagnato e servito sulle note della hit natalizia annunciata “Christmas is all arund” dei Wet Wet Wet, rivisitazione autocitazionista di “Love is all around” (già colonna sonora del successo planetario di Quattro Matrimoni e Un Funerale), vero messaggio del film. E se davvero l’amore è tutto intorno non resta che allungare le mani per raccoglierlo.

Articolo di Elisa Schianchi (reVision)

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