L’isola di Arturo (Iaia Forte)

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Alla Sala Assoli di Napoli Iaia Forte sviluppa una lettura scenica, con Carlotta Corradi, de L’isola di Arturo, romanzo di Elsa Morante con il quale la scrittrice romana vinse il Premio Strega del 1957.

Il punto di vista del romanzo, ambientato sull’Isola di Procida intorno al 1938, è quello di Arturo Gerace, che ha vissuto tutta la sua infanzia e la sua adolescenza sull’isola. Arturo non ha più sua madre e l’unica donna con cui lega è Nunziata, con la quale suo padre si sposa per la seconda volta. Per Nunziata Arturo prova sentimenti di amore che, però, sono scalzati dalla gelosia nel momento in cui nasce il fratellastro, Carmine Arturo, a cui Nunziata dedica più attenzioni e baci. Il rapporto con Nunziata gli permette di scoprire realmente sentimenti come l’affetto e l’amore per una donna e di conoscere il senso ultimo della maternità. Il rapporto col padre, invece, è mitico: Arturo crede che suo padre sia un eroe e diversi sono i momenti in cui resta deluso nel momento in cui impatta con la realtà. A poco a poco l’adolescente sente il bisogno di divenire egli stesso il padre, l’uomo di casa per tutte le situazioni e l’occasione si presenta quando Nunziata ha le doglie e bisogna chiamare la mammana. Carmine Arturo, da usurpatore d’affetto, diventa, man mano, la chiara forma dell’esistenza dell’Isola.

“L’Isola di Arturo” ha tanti punti di congiunzione con gli altri romanzi di Elsa Morante ma anche tante tracce da seguire, vestendo i panni dei lettori segugi, e percorsi dove perdersi. Iaia Forte, ad esempio, ha insistito molto, e giustamente, sul rapporto tra padre e figlio e sui segni della frattura. Arturo che va a recuperare l’orologio “Amicus” del padre, perso durante una passeggiata col figlio “per cercare i ricci”, Arturo che aspetta il padre al molo, Arturo che segue suo padre fino al penitenziario. Nonostante l’indifferenza verso di lui e la mancanza di tenerezza verso quel figlio che ha fatto morire la propria madre, Arturo ama il padre ed è sempre alla costante ricerca della sua vera identità. L’incontro con Stella Tonino, l’uomo che motteggia suo padre e che lo definisce “parodia”, lo mette dinanzi a un primo ostacolo della vita: capisce che suo padre ama Stella Tonino più di Arturo, Nunziata e Carminiello. Qui sta la grandezza di uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento (la Morante amava definirsi “scrittore” senza dare definizioni di genere): il punto di vista è sempre quello di un adolescente che sta scoprendo la vita – non della Morante – e, quindi, non riconosce l’omosessualità del padre ma decodifica il rapporto con Stella, che l’ha derubato dell’amore paterno, solo come un tradimento.

L’elaborazione drammaturgica di Iaia Forte è buona e riesce a sviscerare, in poco meno di un’ora, gli elementi salienti del romanzo condensando gli episodi più importanti e conferendo alla lettura un tono “ragazzino”, utile per immedesimarsi nel punto di vista di Arturo. L’estensione vocalica della Forte, però, non riesce minimamente a rendere palpabile la poliedricità linguistica e metamorfica del romanzo. Inoltre non riesce a rendere i suoni delle parole morantiane, che inaugurano una narrativa completamente nuova imponendo un nuovo stile. Le musiche e gli elementi visuali scelti sono decisamente inappropriati e non aggiungono nulla di più alla narrazione. Elsa Morante, con le parole, tentava di costruire tutto ciò che non si poteva edificare, rendeva sensato l’irrealtà, e la sua opera racchiude, in maniera universale, tutti i sentimenti del mondo. Nella lettura di Iaia Forte, nei movimenti di scena, nelle musiche, in tutto l’apparato messo in piedi per dare “vita” alle parole di Elsa Morante non c’è niente di tutto questo non per demerito dell’attrice ma per le proporzioni del romanzo.

 

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