Kafka. Per una letteratura minore, il saggio di Deleuze e Guattari

Esce nuovamente in libreria, per i tipi di Quodlibet, il saggio di Gilles Deleuze e Felix Guattari su Kafka. Il titolo è Kafka. Per una letteratura minore ed è una sorta di manifesto, pubblicato nel 1975, in cui i due autori provano a tratteggiare un percorso sulla “letteratura minore”. Il termine “minore” potrebbe essere ambivalente e significare sia “di secondaria importanza” che “appartenente ad una minoranza” ma i due autori trovano tre caratteristiche per risolvere quest’ambiguità di fondo.

In primis, la deterritorializzazione del linguaggio, un uso “minore” o “intensivo” della lingua per mettere da parte la sua comunicabilità e scrivere “come un ratto che scava la sua tana” per cogliere la vita come immanenza. La vera letteratura, infatti, per Deleuze, si sottrae ad ogni interpretazione per entrare in un nuovo ambito, come fa la bocca quando smette di mangiare e comincia a cantare, per citare “L’Anti-Edipo”. Kafka, ebreo di Praga, essendo lui stesso una minoranza all’interno di una minoranza (famiglia ebrea di lingua tedesca a Praga), utilizza il tedesco di Praga, scarno, essiccato e, secondo Deleuze,

si potrebbero chiamare in linea di massima intensivi o tensori gli elementi linguistici, per vari che siano, che esprimono “tensioni interne d’una lingua.” In questo senso, appunto, il linguista Vidal Sephiha definisce intensivo “ogni strumento linguistico che permette di tendere verso il limite d’una nozione o di superarlo”, segnando un movimento della lingua verso gli estremi, verso un al di là o un al di qua reversibili.

La seconda caratteristica della letteratura minore è la connessione dell’individuo ad un’immediatezza politica. Il fatto individuale diventa un fatto politico, non c’è una narrazione che si sviluppa in un contesto storico-politico, come accade nei grandi romanzi dell’Ottocento. Nel fatto individuale “si agita una storia ben diversa” e il triangolo familiare si connette ad altri triangoli che ne determinano i valori.

Infine c’è il valore collettivo espresso dalla letteratura in cui lo scrittore resta ai margini per esprimere un’altra comunità potenziale ma, soprattutto, per fornire un’ulteriore coscienza.

Solo in questo modo la letteratura può esprimere realmente un valore collettivo e sviluppare i suoi contenuti ed è più che significativo ricordarlo oggi, in tempi in cui c’è necessità di scovare una letteratura minore, rivoluzionaria, per dare voce a persone che vivono una lingua che non gli appartiene.

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