Instabili Vaganti: produrre, consumare, buttare via

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Se volessimo cominciare un’analisi della situazione di crisi culturale del teatro italiano, da quali segnali dovremmo partire? Secondo te/voi, la crisi del teatro potrebbe essere la diretta conseguenza di una crisi generazionale, d’identità e di opportunità? Quali sono i tempi e modi del suo sviluppo?

Credo che un’analisi della situazione teatrale e culturale del nostro paese sia molto complessa e i fattori che la condizionano siano molteplici. In primis forse dovremmo proprio parlare della mancanza di opportunità o forse sarebbe meglio dire di opportunità reali, oneste e trasparenti. Troppo spesso il nostro teatro è stato pilotato da festival e premi che tendono a cristallizzarsi nel già “visto” o a proporre una novità reiterata e sempre uguale che non ha fatto altro che creare mode momentanee e progetti estemporanei poco solidi e fini a se stessi. Manca inoltre, a mio avviso, una visione coraggiosa e indipendente da parte degli operatori capace di diversificare la proposta culturale valorizzando il panorama complesso e ricco che invece caratterizza il nostro paese. Le esperienze che si staccano dal coro e che si differenziano sia nella modalità di lavoro che nei risultati proposti spesso vengono isolate e poste ai margini. La nuova generazione invece di lottare contro la vecchia ne ha assorbito le abitudini e aspira quasi sempre solo a “prendere il potere” invece che a stravolgere il sistema “malato” che caratterizza il nostro teatro. Nessuno ha il coraggio di schierarsi contro un sistema che non funziona più e spesso invece ci si accontenta di piccoli risultati che ci permettono di vivere in uno stato di sopravvivenza. Credo che la crisi sia proprio una conseguenza di questa mancanza di coraggio di cambiare e di affermare con forza un’idea e una scelta diversa rispetto al passato.

Si può affermare che la crisi del teatro possa dipendere anche da una mancanza di idee teatrali forti?

Non credo manchino le idee ma le strutture, gli operatori e le istituzioni, o meglio, persone coraggiose che operano dentro queste strutture, in grado di sostenerle e portarle avanti. Persone e realtà disponibili anche ad accettare delle sconfitte, che sono connaturate al fatto di osare e scegliere qualcosa di sconosciuto o di nuovo.

Qual è la funzione sociale del teatro oggi? Quali necessità soddisfa?

Difficile dirlo in maniera totalitaria. Dalla nostra esperienza possiamo dire che questa funzione è sicuramente molto diversa in base ai paesi in cui siamo stati. Mentre in America latina, per esempio, non è nemmeno possibile far nascere il dubbio di tale funzione, in Italia questo interrogativo appare molto forte. Spesso le opere mancano di contenuti e gli artisti non prendono delle posizioni politiche, che non significa necessariamente trattare temi sociali ma essere consapevoli del presente che ci circonda e scegliere una direzione. Quest’anno siamo stati al Festival Teatro Para el fin del Mundo in Messico, Uruguay e Argentina portando i nostri spettacoli e progetti in luoghi degradati e pericolosissimi. L’anima del Festival è infatti quella di “abitare” attraverso il teatro luoghi in abbandono all’interno delle città. Qui la funzione sociale del Teatro era lampante, importantissima, radicale. In Messico in particolare, nella città di Tampico, dove si è svolto il festival, il teatro è diventato uno strumento per contrastare il narcotraffico, e gli organizzatori e artisti impegnati quasi degli eroi, che per fare arte rischiano la vita. Tre collaboratori del Festival sono infatti scomparsi due anni fa. Durante la nostra permanenza a Tampico abbiamo molto pensato alla funzione del nostro teatro, in Italia e nel Mondo, ed è anche per questo che abbiamo deciso di continuare a portare avanti con ostinazione il nostro progetto Desaparecidos#43, sui 43 studenti scomparsi in Messico. Credo che la chiave per una nuova funzione sociale del teatro sia proprio quella di andare oltre i “confini” territoriali ma anche di genere e di pensiero, per stimolare nuove visioni culturali e per informare in modo differente attraverso le emozioni, ristabilendo un rapporto umano con il pubblico e non mediato attraverso la TV, per esempio, o il web.

Si può credere a un rinnovamento del teatro o siamo in attesa di un modello culturale che possa scuotere le coscienze?

Credo che per attuare un rinnovamento sia necessario modificare completamente il nostro sistema culturale che si basa ancora, purtroppo, sulla logica delle amicizie invece che del merito, delle simpatie piuttosto che del rispetto del lavoro, delle invidie invece che sulla solidarietà tra colleghi. Non si tratta solo del sistema teatrale e culturale ma di una forma di pensiero generalizzata e presente in tutti i settori lavorativi del nostro paese.

Lo Stato sostiene il teatro in Italia? Se sì, ne beneficiano tutti?

Mi dispiace essere così perentoria ma la risposta è sicuramente un grande: NO! La nostra esperienza con i finanziamenti del MIBACT, per esempio, è stata molto travagliata e indicativa di questo sistema che crede di rinnovarsi e che invece peggiora sempre più le cose. In occasione dei nuovi finanziamenti triennali del Ministero abbiamo fatto domanda sia come compagnia di produzione under 35 che per le tournée all’estero. La nostra è una realtà che principalmente lavora all’estero sia per il linguaggio fisico che ci caratterizza ma anche perché riusciamo a costruire dei progetti continuativi nei Paesi in cui andiamo solo ed esclusivamente per una questione meritocratica, cioè se facciamo bene il nostro lavoro in genere veniamo richiamati, cosa che in Italia invece non accade quasi mai. Abbiamo collaborato con importantissime realtà, tra cui diverse università in Inghilterra, Messico, Corea, Cile, Romania, etc. Per il ministero la nostra tournée in Messico, nel 2015 non è stata ritenuta meritevole di sostegno. La tournée comprendeva 4 diversi stati, un festival Internazionale, workshop e spettacoli in due delle maggiori università messicane, un progetto di co-produzione in un centro di ricerca per la danza e il teatro fisico, ed è stata respinta per un punto, ricevendo una bassissima valutazione proprio sul prestigio degli enti ospitanti. Di contro, fortunatamente, il MAE (Ministero degli Affari Esteri) ha ritenuto invece che la nostra realtà potesse rappresentare l’Italia nell’Anno dell’Italia in America Latina e ha deciso di supportarci in tutto il nostro tour, che ha abbracciato oltre il Messico anche l’Argentina, l’Uruguay e il Cile. Credo che ad avvalorare ancor più la tesi di una totale indifferenza dell’istituzione preposta alla cultura, e cioè il MIBACT, rispetto a realtà come la nostra sia quello che ci è accaduto per la domanda triennale di produzione under 35. Quando a luglio scorso sono stati pubblicati gli esiti tramite delibera ministeriale, la nostra associazione non compariva né tra i progetti accolti né tra quelli respinti. Ad una nostra richiesta di chiarimento trasmessa via mail ci è stato comunicato attraverso una chiamata sul nostro numero cellulare e direttamente dalla dirigente del settore teatro, che “ per un errore della dattilografa” noi non eravamo presenti ma dovevamo considerarci tra gli esclusi. Pochi giorni dopo siamo stati chiamati nuovamente contattati al cellulare dalla dott.ssa Ferrante che ci ha tenuto a rassicurarci dicendoci che invece avevamo passato la prima fase di selezione quantitativa ma che la nostra domanda era stata “ dimenticata” sul tavolo di una funzionaria che era andata in ferie o in malattia e che sarebbe stata riconvocata la commissione per riesaminare la nostra domanda, insieme ad altre tre domande ugualmente dimenticate. E’ possibile dimenticare quattro domande? Inoltre avendo già assegnato il budget può davvero considerarsi paritario un riesame? La commissione ha potuto davvero scegliere in maniera obiettiva a chi destinare i fondi “rimasti”, dato che sicuramente non sarebbero stati sufficienti per tutte e quattro?
Credo siano domande lecite visti anche i risultati del riesame. Una volta convocata la commissione ci è stato infatti comunicato che la nostra domanda non era stata accolta per mancanza di “qualità”. Una realtà come la nostra che ha vinto premi in Italia e all’estero e che è stata scelta dal MAE a rappresentare l’Italia nell’anno dell’Italia in America Latina, dagli Istituti Italiani di cultura all’estero e dalle ambasciate d’Italia all’estero a presentare lo spettacolo MADE IN ILVA in Spagna, Inghilterra, Svezia, Messico, Argentina, Cile, Iran, India etc., può davvero nel panorama italiano under 35 non passare un bando alla produzione per mancanza di qualità? Gli indicatori parlano chiaro: aver vinto dei premi, collaborare con realtà prestigiose, avere in progetto co-produzioni con altri paesi, una rilevante attività internazionale, etc; tutte cose presenti nel nostro progetto. Inoltre alla nostra richiesta ufficiale tramite pec di esaminare i risultati della valutazione ottenendo gli atti, non abbiamo mai ricevuto risposta!
Noi abbiamo deciso di non fare ricorso per mancanza di tempo dato che, essendoci stato comunicato il tutto a settembre inoltrato, avevamo pochissimo tempo a disposizione per un ricorso e noi, poveri lavoratori instancabili, ci trovavamo in India per un progetto di tournée molto ampio. Credo quindi che il numero di ricorsi presentati al MIBACT da molti altri colleghi sia indicativo rispetto alle modalità di selezione e quindi possa dare una ulteriore risposta alla vostra domanda.

Le due misure più estreme ed urgenti da mettere in atto, secondo te/voi.

Mettere in pratica un sistema che sia realmente meritocratico. Valorizzare i nostri talenti prima che “scappino” in altre nazioni più ricettive.

Ha ancora senso mettere in scena i classici? O andrebbero “tolti di scena”? Quanto influisce la scelta politica di un direttore artistico?

Non credo che i classici debbano essere “tolti di scena”, penso che il rinnovamento non nasca solo da una nuova drammaturgia ma da come un’opera sia realizzata, dalla cura e dal lavoro racchiuso in questa e dal messaggio che è in grado di trasmettere. Tutto il teatro può essere “buono” o “cattivo”, secondo noi la differenza sta nel “come” e non nel “cosa”. La seconda parte della domanda ha in realtà due interpretazioni e mi ricollega da un lato alla politica che sceglie grandi nomi di direttori per grandi festival, sperperando solo fondi pubblici per eventi tutta facciata; dall’altro alle scelte “politiche” di quei direttori che continuano a perpetuare logiche di scambio e protezione di una classe teatrale alla quale appartengono. Inoltre vedo sempre meno una linea puramente artistica bensì un adattare le scelte a nuovi criteri (ministeriali per esempio) che cambiano l’assetto dei teatri (si pensi ai nuovi teatri nazionali) in un continuo gioco tra “potenti” realtà. Aiutiamo le giovani compagnie quando ci sono fondi appetibili per questo o quando ci troviamo “obbligati” a farlo, iniziamo a fare tutti residenze artistiche quando esce un articolo 45 del ministero in intesa con le Regioni. Oggi facciamo nuova drammaturgia ed ignoriamo tutto il resto, domani facciamo teatro under35, e dopodomani… Produrre, consumare, buttare via.

Si può parlare di “dittatura teatrale” nel mondo delle arti in scena? Se sì, perché?

Credo di sì, per le ragioni già ampiamente esposte: incapacità di rischiare, incapacità di ascolto rispetto alle esigenze del pubblico, consolidamento di roccaforti del “potere” che costringono gli artisti ad essere “dentro” o “fuori” delle reti di amicizie e di favoreggiamenti, sistemi di produzione e distribuzione chiusi, mancanza di trasparenza nei bandi pubblici, etc.

È possibile un “teatro della crisi” in cui artisti, spettatori e critica trovino un punto in comune?

Credo che il pubblico quando viene coinvolto all’interno di un processo di lavoro sia perfettamente in grado di appropriarsi dei messaggi, dei significati e delle esperienze artistiche. Nella nostra esperienza abbiamo spesso chiamato direttamente in causa il pubblico nei nostri progetti, per esempio abbiamo sostenuto parte delle nostre spese per partecipare con lo spettacolo Made in Ilva al Festival di Edimburgo attraverso il sistema del Crowdfunding, oppure abbiamo creato delle reti di ospitalità nel nostro Festival TRENOff. In tutte le esperienze dirette al territorio, in Italia ma anche in progetti all’estero, l’incontro con il pubblico e il sostegno degli spettatori è sempre stato molto forte. Sulla funzione della critica oggi sono invece molto più scettica. Molti critici si sono trasformati in promoter e uffici stampa privati per alcune compagnie e quindi mancano di oggettività, molti altri non hanno davvero l’esperienza e la preparazione per affrontare proposte che si discostano dalla norma e quindi si limitano a descrivere quello che vedono senza aprire a riflessioni più ampie. Ovviamente esistono le eccezioni, realtà nuove che cercano di spostare l’attenzione dalla singola opera al processo creativo e di lavoro delle compagnie e che cercano di dare nuovi input per approfondire tematiche di maggior spessore capaci di far emergere visioni e riflessioni complesse sul panorama culturale in generale, come state facendo voi con questa intervista che spero possa davvero servire a tracciare finalmente un quadro della situazione del teatro Italiano contemporaneo. Il critico ha anche la funzione di avvicinare lo spettatore ad un certo tipo di teatro, favorire l’incontro con nuove tendenze e portare alla luce lavori di qualità, è uno scopritore, un pioniere, capace di favorire la nascita di nuove comunità teatrali di artisti e spettatori che si interrogano attivamente sul proprio ruolo.

Quant’è importante lo spettatore a teatro? Quanto è necessario investire nella formazione di un pubblico consapevole?

Io credo che lo spettatore sia davvero essenziale per il teatro. Mi rammarica molto vedere a teatro solo gli addetti ai lavori. Questo accade perché purtroppo, spesso, si tende a costruire le rassegne e i Festival (ahimè con soldi pubblici) a misura di operatore e non per il pubblico. Io non credo che sia necessaria una formazione del pubblico ma un coinvolgimento. La formazione è una conseguenza di questo coinvolgimento e porta ad una crescita dello spirito critico in maniera spontanea e non guidata in base ai gusti e alle necessità di chi organizza. Dedicare attenzione al pubblico, trovare strategie di coinvolgimento, questo penso sia assolutamente necessario.

Prima di salutarvi, ringraziandovi per la collaborazione, vi chiediamo un’ultima riflessione: qual è la tua/vostra missione teatrale? Come immaginate la situazione culturale e teatrale italiana nei prossimi cinque anni?

La nostra missione teatrale è in continuo cambiamento. Siamo nati con l’idea di portare avanti un lavoro quotidiano sull’attore e quindi con la necessità di diffondere una formazione teatrale rigorosa, un lavoro di ricerca attorno alle arti performative stesse. Ovviamente abbiamo mantenuto questa base fondamentale per il nostro lavoro ma pian piano abbiamo maturato una visione anche sul valore dell’opera finale, capace di sintetizzare un processo e quindi di comunicare un’esperienza che nel tempo è diventata sempre più politica. Attraverso la nostra arte vogliamo esprimere un nostro pensiero, prendere delle posizioni chiare rispetto a quello che ci circonda. Ci sentiamo parte della contemporaneità e per questo vogliamo aprire degli squarci sulle vicende sociali che ci riguardano direttamente, come persone in primis e come artisti in seguito. Per noi il teatro continua ad avere una sua funzione sociale, ad intervenire sulla realtà o quanto meno a mostrare vie differenti da poter intraprendere.

 

Instabili Vaganti: biografia

Fondata nel 2004 dalla regista e attrice Anna Dora Dorno e dall’attore Nicola Pianzola, la compagnia si caratterizza per il suo lavoro di ricerca e sperimentazione nel teatro fisico e contemporaneo e per l’internazionalità dei suoi progetti.

Instabili Vaganti opera nella creazione e produzione di spettacoli e performance, nella direzione di progetti, workshop e percorsi di alta formazione nelle arti performative a livello internazionale, svolgendo un continuo lavoro di ricerca sull’arte dell’attore. Dalla sua costituzione ad oggi la compagnia ha affiancato al lavoro di produzione un percorso e pedagogico unico e originale maturando un proprio metodo apprezzato in tutto il mondo. Il fine perseguito è la creazione di un linguaggio innovativo e originale capace di farsi custode della tradizione, acquisendo tecniche performative provenienti da differenti culture, ma anche di spezzarne le regole attraverso la contaminazione artistica e i nuovi linguaggi del contemporaneo. Un teatro totale in cui il performer incarna la capacità evocatrice del fare poetico, affermando la propria centralità fisica ed emotiva, in cui la drammaturgia delle azioni affianca quella delle parole e dialoga con differenti forme artistiche, stili e discipline. Un teatro in cui importanti temi di attualità si esprimono attraverso forme d’arte universali e totalizzanti.

Dal 2010 Instabili Vaganti dirige il LIV Performing Arts Centre e l’International Workshop Festival PerformAzioni.

Premi
Per le sue produzioni la compagnia ha vinto numerosi premi

MADE IN ILVA – L’eremita contemporaneo
Total Theatre Awards Nomination al Fringe Festival di Edimburgo 2014| Premio per l’impegno civile nelle arti sceniche Cassino OFF 2014 | Premio teatro d’impegno civile Antonio Landieri 2013 | Premio della critica Ermo Colle 2013 | II° Premio della giuria Museo Cervi 2013 | Miglior spettacolo straniero 16° IIFUT Festival di Teheran – Iran | Premio Residenza OFFX3 2012| Selezione Visionari Kilowatt Festival 2012

Running in the Fabrik
Finalista al premio GD’A, Festival Ammutinamenti 2009 | Finalista al premio ETI Nuove Sensibilità – Napoli Teatro Festival Italia 2008| Semifinalista al Premio ETI alle arti sceniche Tuttoteatro.com “Dante Cappelletti” 2007

Avan-Lulu
Premio speciale della giuria al VI° Festival internazionale di teatro e arti visive Zdarzenia 2005 – Polonia.

Progetti internazionali
Dal 2006 ad oggi la compagnia ha ideato e diretto progetti di ricerca internazionali che coinvolgono attori e artisti provenienti da tutto il mondo.

Stracci della memoria Progetto di ricerca e formazione nelle arti performative che indaga il tema della memoria attraverso l’attualizzazione delle forme performative tradizionali. Sviluppato in diversi paesi in Europa, Medio Oriente, Asia, Africa e America Latina, grazie alla collaborazione di Fondazione Bauhaus di Dessau – Germania| Grotowski Institute di Wroclaw – Polonia| Hooyong Performing Arts Centre – Corea.

LENZ Progetto di ricerca teatrale e drammaturgica sull’autore J. R. M. Lenz, sviluppato in collaborazione con Theater Fabrik Sachsen di Lipsia

Running in the Fabrik Progetto sperimentale di ricerca e produzione teatrale sviluppato in collaborazione con Old Vic Theatre di Londra

MEGALOPOLIS Progetto sperimentale che indaga la creazione contemporanea nell’era globale, sviluppato nelle maggiori metropoli del pianeta grazie alla la collaborazione di
Festival Internacional Cerro de Arena, ENAT Scuola Nazionale di Teatro, UNAM Università Autonoma Nazionale – Messico | IIFUT – Festival Internazionale Iraniano di Teatro Universitario – Iran.

Pedagogia teatrale
Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola conducono workshop, laboratori, conferenze e lezioni in importanti università e centri di ricerca internazionali

Grotowski Institute di Wroclaw – Polonia| International Workshop Festival, BIPAF Festival, Kyungsung University – Corea del Sud| VIII° and IX° Meeting Internazionale delle Scuole Nazionali di Recitazione promosso da ORMACC ITI UNESCO, ENAT e UNAM – Messico| Physical Fest di Liverpool, University of Kent – UK| Babes Bolyai University – Romania | Università di Bologna, Università Bicocca di Milano, Università di Matera.

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