Esilio a Officina Teatro

 

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Officina Teatro inaugura la stagione teatrale 2016-2017 presentando Esilio, uno spettacolo della Piccola Compagnia Dammacco pensato come secondo capitolo della Trilogia della Fine del Mondo: è infatti preceduto da L’ultima notte di Antonio mentre il terzo atto è in programma per il 2018 con il titolo La buona creanza.
“Io sono un’Anima in pena. Ora sto fuori e canto la mia pena. Prima stavo dentro, dentro l’uomo protagonista della nostra storia”.
Esilio racconta la triste sorte di un uomo che ha perduto il lavoro, e della sua anima che, fuori dall’involucro del corpo che la contiene, figura in scena come personaggio in carne e ossa. Quest’anima è un’antitesi che si sprigiona dal seno della vita, dalla matrice dell’essere scisso, e poi prende forma autonoma per “cantare” – e rendere esemplare – la storia del sé corpo-marionetta svuotato di spirito: al lettore forse tornano in mente le Fughe di Saba e in special modo la Sesta Fuga, dove i sentimenti del poeta prendono gli attributi da personaggi, diventano esseri tangibili, esistenze che imbastiscono un dialogo, manifestandosi drammaturgicamente come le voci di un contrappunto musicale.
Mariano Dammacco interpreta la coscienza, cinta in una veste color nero-pece con riflessi in lamé argentato, in uno spazio scenico piuttosto cupo e soffocante con al centro soltanto una pedana di legno.
Esiliata dall’io in cui dimorava, ora quest’anima fuggevole e intenerita osserva la turba degli stati d’animo che si alternano nell’infinito presente del suo uomo e che, succedendosi, sono i soli a scandire il tempo, a suggerirne uno scorrimento: incredulità, tristezza, rabbia, ossessione, sgomento, ansia, paura ed enorme senso di solitudine.
Prendono forma due monologhi paralleli: la voce dell’istanza spirituale intercala quella dell’uomo senza nome né età, interpretato da una brillante Serena Balivo. Quest’individuo, che si aggira per tutto il tempo sulla pedana di legno (forse alla ricerca di un varco, sicuramente di una soluzione, per evadere da quella condizione di vuoto esistenziale che lo disumanizza, lo rende vulnerabile e impotente), intrattiene il pubblico raccontando l’origine di tutti i suoi mali, scandendo, con la bocca digrignata, parole d’antan, ricercate e limpide, proprio come la sua anima, che nel frattanto gli cammina intorno lenta e solenne.
Con un divertente gioco umoristico che non concede nulla allo psicodramma, la Balivo caratterizza ‘fantozzianamente’ l’indole impiegatizia del suo personaggio, dando vita a una buffa personalità-marionetta che cammina sghemba a piccoli passi, strabuzza gli occhi quando ricorda i bei tempi andati o quando pensa e si convince di essere vittima di un “complotto mondiale”, china le spalle quando è disperata e le alza invece quando spera: ha una mimica che ricorda il personaggio di Charlot e una comicità da commedia dell’arte.
Dammacco, con Esilio, sceglie contenuti e linguaggi che parlano direttamente allo spettatore: gli raccontano della sua esistenza e della condizione di alienazione alla quale le contraddizioni del suo tempo lo inchiodano.

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