Il Cortile di Spiro Scimone, un testo ai margini del teatro

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Peppe e Tano vivono in un cortile assediato da rottami e bidoni, sono ridotti male. Peppe ha un piede mangiato da un topo e non riesce a muoversi, Tano ha gli occhiali rotti e un abito liso. Non possiedono niente se non un sacco nero contenente pochi oggetti, tra cui una corda lunga e tozzi di pane.

Potrebbe riassumersi così la trama de Il cortile, uno dei capolavori di Spiro Scimone del 2003, messo in scena col suo sodale Francesco Sframeli. Un lavoro che ha i suoi punti di forza nella scrittura scenica di Scimone, raffinata e dai ritmi precisi e cadenzati, ma anche in una prova attoriale consolidata e superlativa.

La scena è minimalista, asciugata di ogni orpello, non è possibile collocare l’azione in un contesto temporale. Potrebbe essere un presente simultaneo, extralinguistico, senza memoria. Peppe e Tano sono amici o amanti e ricordano molto Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot di Beckett, autore molto gradito a Scimone, Hamm e Clov di Finale di Partita ma sono soprattutto parenti stretti, a mio avviso, di Totò e Vicè di Franco Scaldati. Peppe e Tano, come Totò e Vicè, sono uniti dalla necessità e dalla compassione. Cercano di sopravvivere al tempo ingannandolo, sono complici e soli. Eppure, in quel cortile metafisico, in quell’infinito beckettiano dove l’atto si compone con la temporalità, c’è un terzo personaggio che emerge dai rifiuti, non ha un nome e cerca cibo, strisciando come un verme per ottenerlo. Non vuole, però, tagliarsi un braccio come il padre per fare pietà, ha ancora un’identità da salvaguardare. Ottiene un pezzo di pane verde, che Peppe e Tano cavano fuori dal sacco nero, e racconta frammenti della propria vita.

Con Il Cortile Spiro Scimone abbandona il dialetto messinese per l’italiano ma mantiene la struttura incalzante de La festa e lo stesso umorismo lunare. Valerio Binasco regala una regia precisa, fedele alle intenzioni dell’autore, dove dà largo spazio agli attori senza dilatare, giustamente, il ritmo del testo e senza dissolvere la potenza delle immagini evocate.

“Il cortile”, però, non è solo questo ma è una pièce sul linguaggio e sul segno teatrale, cioè quel punto di incontro tra significato e significante. Oltre al visibile, c’è dell’altro: per questo motivo Peppe e Tano cominciano a svuotare quel sacco nero ingombrante di oggetti per restare nudi davanti a se stessi, davanti al pubblico e davanti a Dio. Eppure, dopo averlo svuotato del tutto, si accorgono che è rimasto ancora il buio, dove non si riescono a distinguere i sentimenti, gli stati d’animo e i ricordi del passato. Calano le luci ma resta il Teatro.

 

COMPAGNIA SCIMONE SFRAMELI

Il cortile (2003)
di spiro scimone

con francesco sframeli, spiro scimone, gianluca cesale
regia valerio binasco
scena e costumi titina maselli
disegno luci beatrice ficalbi

regista assistente leonardo pischedda
assistente scene e costumi barbara bessi
direttore tecnico santo pinizzotto

produzione compagnia scimone sframeli > fondazione orestiadi gibellina > festival d’automne à paris
kunsten festival des arts de bruxelles > théâtre garonne de toulouse

* Premio Ubu 2004 – Nuovo Testo Italiano

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