“Codice Nero” a Officina teatro

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Il 29 e il 30 ottobre Officina Teatro di San Leucio ha proposto “Codice Nero”, uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Riccardo Lanzarone, con le musiche dal vivo di Giorgio Distante, prodotto dai Cantieri Teatrali Koreja.

Codice nero è la storia di un artificiere, Salvatore Geraci, che, gravato da un male tremendo, condannato a vivere un tempo sospeso in una camera d’ospedale, compie un viaggio a ritroso nel passato, rievocandone i momenti salienti: dalla festa di Santa Rosalia a Palermo, alla prima fascinazione dei fuochi d’artificio; dal confronto padre-figlio, al matrimonio felice.
Codice nero è il titolo mutuato dal colore che il pronto soccorso assegna ai pazienti deceduti: questo è l’immediato referente, che sembra ancorare la storia a una realtà nota, diurna.
Tuttavia c’è dell’altro: è uno spettacolo in cui il suono, la voce, il gesto e il movimento dell’attore – elementi che caratterizzano il qui ed ora del linguaggio teatrale – si caricano di valore drammaturgico.
Parola e musica, ad esempio, interferiscono secondo modi che non sono omogenei, e non c’è corrispondenza biunivoca tra entrambe: tutte e due, tuttavia, concorrono a scrivere un testo in cui il tema in evidenza è la schizofrenia del paziente, prodotta dallo stato di convalescenza che lo isola, prigioniero, in una stanza d’ospedale. Quest’ultima, un quadrato ritagliato in scena, è il luogo stinto e opprimente dove i ricordi del ricoverato – e dei ricoverati- si rincorrono freneticamente.
La musica, o meglio la ‘sonorizzazione dello spettacolo’ – ad opera del trombettista e sound designer Giorgio Distante stabilisce un tempo di base che in alcuni casi interferisce con la partitura della recitazione, accompagnandola: questo accade, ad esempio, quando un suono, simile a un urlo, richiama il paziente dal ricordo, inchiodandolo al presente della malattia; o quando il suono sintetico prodotto dal pc asseconda i tic nervosi e incalzanti, fisici e verbali, del paziente che ricorda.
Altre volte, invece, la musica arricchisce il testo di ulteriori significati: il suono della tromba di Distante, infatti, di tanto in tanto è strozzato, ridotto a esile fiato, quasi a denotare l’impossibilità di un’armonia dentro e fuori l’individuo-paziente, il diaframma tra i piani del presente e del passato, il conflitto tra l’aspettativa di giubilo legata ai fuochi d’artificio e l’esperienza reale che di quelli fa il protagonista: un petardo da lui creato prima fa fiasco per poi brillare tra le mani di un bambino, con l’inquietante risvolto della perdita dell’occhio.
Riccardo Lanzarone passa da un ruolo all’altro a una velocità esilarante, suggerendoci una riflessione sulla funzione dell’attore, sul piano della gestione del suo corpo come produttore di segni: la messa a punto dello ‘strumento’ fisico risulta evidente se si guarda alla tensione espressiva del corpo, ai suoi movimenti (che assecondano – o meno – i tempi irregolari della musica), alla regolazione dei timbri vocali.
Il suo viaggio attraverso il tempo è un percorso costellato di presenze: Lanzarone le fa rivivere con una dinamicità fisica vertiginosa, che concorre alla scrittura scenica.

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