Aspettando il tempo che passa. Quando il teatro incontra la legalità.

aspettando il tempo che passaAspettando il tempo che passa” è una storia scritta dai vinti. Una storia scritta da coloro che si trovano ai margini della società. Una storia di vite interrotte. Un’altalena su cui oscillano i sentimenti e gli stati d’animo di “ragazzi a rischio”. Uno sfondo nero che non trasmette nient’altro che disillusioni e false speranze. Uno scenario claustrofobico in cui si racconta di una libertà che non c’è mai stata e non per una condizione di reclusione fisica, o almeno non solo per quello. Le voci di questo racconto sono quelle dei ragazzi dell’Istituto Penitenziario Minorile di Airola, che hanno avuto la fortuna di incontrare sul loro cammino Giulia Minoli, ideatrice e responsabile del progetto Il Palcoscenico della Legalità che, coadiuvata dall’autrice e regista Emanuela Giordano e dalla Compagnia Nest Napoli Est Teatro, si è presa la responsabilità di portare avanti un percorso di crescita e di impegno civile contro la criminalità organizzata.

Il frutto di questo lavoro è stata una “fiaba” moderna, perché reale. Una fata turchina e un grillo parlante fanno da coscienza a due ragazzi che hanno smarrito la strada. Sembra Pinocchio e di fatto lo è. Il racconto di due ragazzi di legno la cui vista è offuscata dal miraggio che una vita fatta di scippi, di rapine, di guadagno facile. È un continuo cadere in tentazione. Falsi miti li accompagnano costantemente. Una mentalità purtroppo radicata e dalla quale è difficile staccarsi. Inutile vivere di pregiudizi perché non è semplice essere in controtendenza in una realtà del genere. Ma proprio come Pinocchio questi sono ragazzi che hanno dovuto toccare il fondo, arrivare nella pancia della balena, prima di poter risalire la china. Noi spettatori abbiamo avuto il privilegio di assistere a questo atto di grande forza di volontà, a questa presa di posizione contro gli ottusi.

Assurdo che oggi ci sia ancora bisogno di manifestazioni del genere per poter dimostrare al mondo di avere una dignità, di avere tutte le qualità per essere ancora considerato un uomo. Se davvero le carceri assolvessero alla loro funzione, quella di riabilitazione e reinserimento nella società, tutto questo sarebbe superfluo, “pleonastico”. Invece il futuro non c’è, o forse c’è ma non si vede.

Per ora la parola passa a loro, a quelli che infine hanno detto no.

Un teatro fatto dalle minoranze che sono riuscite a non far sentire la nostalgia dei grandi autori. Perché continuare a scomodare Shakespeare o Brecht?

A quanto pare la migliore forma d’arte riesce a nascere anche in un luogo come il penitenziario, in cui spesso invece di ritrovarsi ci si smarrisce ancora di più. Testimonianza di quanto possa essere l’arma migliore, che spiana la strada, che libera l’anima.

…dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.”

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