L’albero della speranza: il libro sull’albero sopravvissuto allo tsunami

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L’albero della speranza di Arai Man, con fotografie di Kainuma Takeshi, appena pubblicato da edizioni e/o (traduzione di Costantino Pes) è una storia che parla di sopravvivenza nella distruzione.

La copertina recita: La storia e le immagini dell’albero sopravvissuto allo tsunami di Fukushima, un simbolo universale di rinascita. È un libro e delicatissimo, dal respiro quasi musicale. Non a caso Arai Man è anche un compositore.

Il protagonista è un albero. È la sua storia. Nel 2011, lo tsunami distrugge quasi interamente il sito naturalistico costiero di Takata-Matsubara. Circa settemila piante – pini marittimi piantati più di quattrocento anni fa – distrutte. Tranne una, miracolosamente e inspiegabilmente. Che resta lì, come simbolo e speranza universale. Una storia emozionante e umana.

Umana è l’aggettivo più adatto. L’albero sopravvissuto è una pianta che piange e si copre le orecchie. Viene descritto come un bambino sofferente che chiude gli occhi, che perde il padre e la madre. È un lamento d’infante, il suo. L’aria per lei diventa così calma da essere intollerabile. È un ragazzino che perde tutto e si ritrova solo.

Come un essere umano, ha vissuto il terrore di vedere i suoi simili morire. Come un uomo ha sofferto di traumi. L’acqua del mare marciva le sue radici, le sue urla restavano inascoltate. Non esisteva pace.

Ha sopportato le scosse del terremoto e la fine di ciò che era stato. Si è partorito da sé più e più volte. Si è sforzato di stare al mondo contro ogni dolore.

Come chiunque, alla fine, ha trovato pace.

“La stessa natura che mi ha terrorizzata con quello spaventoso tsunami ora consola la mia tristezza con questo splendore che non ha eguali.”

Come già il poeta George Byron scriveva, c’è una strana estasi nella spiaggia desolata. È questo che il pino protagonista realizza: la bellezza sta nell’essere sopravvissuto.  Nel poter ricordare.

Le fotografie lasciano senza fiato. Nulla a perdita d’occhio e, al centro, lei.

Nella postfazione, veniamo a sapere il perché di quell’umanizzazione: l’autore stesso ha vissuto una tragedia simile. Scappava disperatamente, inseguito dall’acqua. Le paure di una vita intera in un solo giorno. E da allora traumi psicologici, incubi notturni. Nessuna pace. Anche lui si salvò per miracolo.

Per questo la storia del pino del miracolo lo colpì profondamente, quando l’ascoltò al notiziario.

“Anche se è solo uno, è riuscito a sopravvivere.”

E da lì ha immaginato la sua storia. Così simile alla propria.

“Se fossi stato lui sarei impazzito di terrore. Ma quel pino ha resistito.”

Tutti, uomini e natura intera, siamo soggetti alle stesse sciagure. Non possiamo che ricordarlo e farci forza a vicenda. Contro ogni tragedia.

Allora, nessuno sarà più solo.

“Non è meraviglioso?”

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