AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE: Fortebraccio teatro al Civico 14

fortebraccio-teatro-roberto-latimi-amleto-credits-obbligatorio-fabio-lovino-immagine

 

Al Teatro civico 14 è andato in scena nei giorni 25 e 26 novembre AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE, una “riscrittura della riscrittura”, ovvero una ri-proposta di lettura tutta contemporanea del dramma postmoderno Die Hamletmaschine, “la macchina di Amleto” di Heiner Müller.

Il regista e interprete Roberto Latini ri-scrive il testo coadiuvato da Barbara Weigel, e lo porta in scena da attore-solista, “rendendo monologo la forma dialogica” e prestando la voce ai personaggi del dramma ‘già accaduto’: Amleto, Ofelia, Laerte, Claudio, Gertrude. Latini ricalca, rinnovandola, la pratica drammaturgica dell’illustre maestro Carmelo Bene, il quale vedeva nell’a solo in scena “la voce onnivora” che mette in crisi il teatro dei ruoli, una forma di monologo deragliato, in grado di esprimere le urgenze, il delirio imploso di un ‘io’ diviso.
Pur articolando la struttura del dramma in cinque capitoli (le intermittenze di buio e luce ne individuano la partizione) – lo stesso numero e la medesima intestazione di quelli dell’esemplare di riferimento – Latini innova e rivisita radicalmente il proprio dramma, inventando uno ‘sdrucciolamento’ del punto di vista, che non coincide più con quello dell’‘eroe mancato’ Amleto, ma con la visuale distanziata della posterità di Fortebraccio: la sua è invece la prospettiva immiserita del mondo straniero, gigante solitario che rimpiazza ciò che pre-esiste, che diviene crudelmente silente, immobile, non più scosso in sostanza dai sommovimenti deraglianti della coscienza, privato di radici e pertanto “senza più padri”.
Mentre dunque il testo originale del Die Hamletmaschine (1979) ha inizio con la dichiarazione Ich war Hamlet (“Io ero Amleto”), per Latini l’incipit è diverso: “Io non sono Amleto”: l’inizio rende chiara l’alterità del principe di Norvegia, personaggio anti e post amletico, perché suo successore al trono, ma estraneo alla discendenza sul rettilineo dinastico della storia di Danimarca inventata dal Bardo di Stratford.

Le parole del nuovo re rimbombano amplificate dal dispositivo acustico nel silenzio sordo del vuoto post-tragico: “Where is the sight?”: dov’è la vista, lo spettacolo, la visione domanda sgomento Fortebraccio-Latini quando il dramma “è già accaduto”.
Sulla scena campeggia il simbolo della croce (presente finanche nel titolo), ricavato dalla disposizione incrociata delle aste dei microfoni; dietro volteggia sospesa una corda che reca all’estremità un microfono/magnetofono accentuante silenzi e pause e che, trattenendo la voce, la allontana – diffondendola – nello spazio acustico del pubblico: qui si estende – distorto dal gioco delle alterazioni vocali – il dubbio amletico.
Il dilemma del principe di Danimarca arriva in forma disarticolata, allucinata dal mixage di richiami disparati: dal testo della “Dichiarazione universale dei diritti umani”, dal “Pater! Pater noster, qui es in cælis” fino ai riferimenti all’immaginario pop di Marylin Monroe, Blade Runner e al grido di “fraternité, fraternité, fraternité… amen, quella parola, fratello, mio fratello” che ricorda il “my friend” allocutivo di “Blowin’ in the wind” di Dylan, con un affondo polemico alle recenti disunità politiche dell’Europa.

La voce amplificata, contraffatta, pervasiva, giocata come uno scherzo intelligente è in realtà, nelle intenzioni dell’attore-drammaturgo, un medium che mette in relazione con un altrove, un’altra realtà popolata di spiriti: e la stessa Barbara Weigel riporta l’aforisma di Müller: «Ciò che è morto, non è morto nella storia. Una funzione del dramma è l’evocazione dei morti – il dialogo con i morti non deve interrompersi fino a che non ci consegnano la parte di futuro che è stata sepolta con loro».
Dal testo archetipo di Müller, Latini mutua l’idea del mito come macchina alla quale, scrive il drammaturgo tedesco «si possono collegare macchine sempre nuove e diverse. Esso trasporta l’energia finché l’accelerazione sempre più rapida fa saltare il circuito culturale»: lo spettacolo di Latini fa pensare all’energia esplosa – che arriva alle viscere e ai sensi – di un movimento di coscienza, di un vortice che ingenera sempre nuovi movimenti sul solido nucleo del mito eterno dell’Amleto.
Nella scrittura vocale, dice infine Carmelo Bene, «poesia è la voce. Il testo è la sua eco». Per noi la voce di Latini è ‘poesia’; ‘teatro’ è la sua eco.

Potrebbero interessarti anche...

Una risposta

  1. Con la compagnia Fortebraccio Teatro da lui fondata, l’attore segue un percorso di ricerca che ha per fulcro la responsabilita dell’attore, muovendosi tra drammaturgia dei classici e scrittura scenica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *