About a Boy – Un ragazzo: recensione del film con Hugh Grant

Famiglia ed amore tra ironia e dramma… About A Boy, terza pellicola tratta da un best seller di Nick Hornby dopo Febbre A 90 e Alta Fedeltà, parla con intelligenza e leggerezza della grande confusione che gli uomini affacciati alla soglia dei quarant’anni attraversano con altrettanto spavento, tormento e vulnerabilità delle donne rappresentate nel Diario Di Bridget Jones, ed affronta, sotto l’apparenza rassicurante di una commedia patinata, temi gravi ed importanti come la solitudine, la depressione, il divorzio, l’abbandono, il destino dei figli della separazione.
Questa è la storia di Will, un uomo tanto affascinante quanto egocentrico e superficiale che conduce le sue giornate tra il nulla ed il futile, soddisfatto di essere la dimostrazione vivente che l’uomo è un’isola, compiaciuto di essere l’isola più esclusiva: quella di Ibiza… Ricco, single e senza legami, Will aborrisce ogni responsabilità ed impegna il suo tempo tra coiffeur, manicure, shopping, DVD e massaggi.
La breve relazione con una mamma single, finita per l’impossibilità di lei di gestire il rapporto con un compagno contemporaneamente alla cura ed all’educazione del bambino, gli dischiuderà il panorama di un universo edenico fatto di donne appassionate che non vogliono legarsi di nuovo dopo il fallimento. Scoperte le gioie e le opportunità che le donne sole con figli possono offrire a chi, come lui, vuole solo avventura, Will si mette sulle tracce di questa realtà parallela e comincia a frequentare gli incontri di auto-sostegno per genitori single al solo scopo di collezionare appuntamenti, sfruttandoli come terreno fertile per gettare i semi del suo gioco. Will finge di essere il papà abbandonato di un bambino di nome Ned e la sua tattica gli permette di conoscere graziose mamme che si identificano nella sua stessa situazione di fragilità lasciando cadere, nei suoi confronti, le barriere di diffidenza che allontanano gli altri uomini.

Tutto procede per il meglio, dunque, finché una di queste donne, Susie, non porta all’appuntamento con Will oltre alla propria bambina anche Marcus, il figlio dodicenne di un’altra amica single. Marcus è un bambino solo e ferito, con grandi problemi di socializzazione ed adattamento, incapace di relazionarsi agli altri e gestire le proprie emozioni. La madre, Fiona, una hippy bizzarra e controcorrente, soffre di gravi crisi depressive e, proprio lo stesso giorno in cui Marcus conosce Will, tenta il suicidio ingerendo una dose eccessiva di tranquillanti. Si dipana da questo avvenimento una catena di eventi alle soglie del dramma irreversibile che sconvolgerà la vita di Will costringendolo ad abbandonare la propria posizione di spettatore per schierarsi, almeno una volta, dalla parte di chi ha veramente bisogno di soccorso. Il rapporto che nascerà tra Will ed il piccolo Marcus, prima forzato e stanco poi sempre più vitale, vigoroso e trasparente, sarà la spina dorsale stessa della nuova vita di Will che, costretto al confronto con le proprie bugie e la propria desolazione, ripudierà l’inutile sostanza di un’esistenza trascorsa nella vacua contemplazione di se stesso. Salvando il piccolo Marcus, Will salva se stesso e trova la donna della sua vita, finalmente forte di nuovi valori che lo rendono uomo meraviglioso, sano, maturo e coinvolgente.
Lo spirito del libro, brillante, caustico, acuto ed ironico, è pienamente rispettato dalla trasposizione cinematografica fatta dai fratelli Weitz che, dopo la goliardia sfacciata e senza cervello di American Pie, dimostrano di avere spirito e talento per l’introspezione mascherata da commedia. I personaggi sono tutti vitalissimi e gli interpreti, compreso lo smagliante protagonista Hugh Grant, affrancato dalla caricatura di bravo ragazzo impacciato, sostenuti da una sceneggiatura tarata a perfezione ed un montaggio vivace, rendono facile anche sullo schermo il processo di immedesimazione che fa, sin dall’origine letteraria del prodotto, la forza stessa dei romanzi di Hornby.

Articolo di Elisa Schianchi (reVision)

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