Black Heart Procession – One

Su note di piano che fendono l’opacità delle superfici a farne sgorgare il nero profondo sangue degli abissi il primo lavoro dei Black heart procession rotola al termine dei suoi 48 minuti con la pesantezza del masso di Sisifo.
Cercavo immagini, ed è venuto fuori anche il bisturi, perché fra le cose che penetrano il bisturi è quella che lascia il segno più geometrico sulla carne. Con le cicatrici di cui consiste questo ascolto ho scritto i testi delle canzoni sul mio cuore, a ritmo della stessa ossessione che pone il cuore in 6 titoli su 11.
Poi sono rimasto a osservare l’elegante simmetria dello sfregio e delle suture, mentre gocce di pioggia nera riempivano lo spazio visivo.

L’inizio della saga di the waiter con il suo vassoio che trasporta il tempo di tavolo in tavolo e l’angoscia preparatoria della fisarmonica mitteleuropea di the old kind of summer culminano in release my heart, a parere di chi scrive, una delle cose che il rock ricorderà dei suoi anni 90. Su un piano marmoreo strisciano lamenti d’organo afflitto e sinistri rintocchi di chitarra, e la voce invoca, senza gridare, un commiato che restituisca la luce.
In tre pezzi è già condensato l’intero range musicale del gruppo, che presiederà al resto del lavoro e al resto della discografia, ove si eccettui il recente Amore del tropico1) pezzo atmosferico di suoni e accenni minimali 2)lamento accorato su base di tristezza minimale, che non sa articolarsi, ed in ultimo 3) ballata midtempo pianoforte-diretta che assurge a monito cosmico d’irreparabilità.
Un’oscillazione non ampia, ma capace di assicurare profondità all’estetica del duo, ed un criterio di riconoscibilità che ha dalla sua l’eredità del dark esitenzialista storico.
Al primo filone appartengono le lunari desolazioni di even thieves couldn’t lieed i macabri rintocchi di stitched to my heart, al secondo l’esangue crooning di heart without a home e in a tin flask, al terzo l’ironica malinconia di square heart e l’altro capolavoro del disco blue water-black heart.

Pur non annoverando fra le sue fila brutti pezzi, il disco nel suo insieme si dà come ancora immaturo e un po’ prolisso (vedi i sette infiniti minuti e mezzo conclusivi di a heart the size of a horse), alternando ispirazione a semplice maniera. Ma, nel gettare le basi dei due successivi capolavori, ci regala release my heart e blue water-black heart, che da sole valgono l’acquisto del disco d’esordio dei due (dei 3) ex Three mice pilot.

Accolte queste premesse la processione entra nel vivo della sua oscurità.

Articolo di Alessandro Calzavara

Manfredi

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